
1. Solo entro certi limiti la pandemia è stata un caso. Sono state casuali le forme specifiche del virus e della sua trasmissione. Non è stato casuale né che una pandemia sorgesse, né che il sistema si trovasse così impreparato. Anzi, “impreparato” è un termine inappropriato. Esso era “predisposto” al sorgere di un simile evento.
2. “Predisposto” non nel senso complottistico. Il complottismo postula l’esistenza di una regia centrale in grado di determinare linee di tendenza e dettagli dello sviluppo del sistema. Proprio al contrario, un enorme apparato produttivo e finanziario cresce ogni giorno più privo di controllo. La ricchezza si accumula sempre più vorticosamente ad un polo della società, gettando l’altro polo nel caos e nella miseria. Il grande capitale rappresenta un potere incontrollabile e senza controllo. Non può essere diretto, arginato, regolamentato: può essere solo espropriato con una rottura di natura rivoluzionaria.
3. La catena del valore capitalista è stata il canale di incubazione e trasmissione del virus. Gli allevamenti intensivi, la distruzione della biodiversità e i cambiamenti climatici hanno fornito la base per il salto del virus all’uomo. L’assenza di una pianificazione sociale ha tolto la possibilità di arginarne la diffusione. La distruzione del sistema sanitario ha generato l’emergenza pandemica. I luoghi di lavoro, soprattutto quelli ad alta intensità di sfruttamento, sono stati i cluster ideali. Ancora di più lo sono state le Rsa in cui spesso vengono concentrati gli anziani in una società dove la vecchiaia è considerata un peso non produttivo. In breve, ciò che chiamiamo crisi pandemica non è il risultato diretto delle caratteristiche del virus. Ma è il combinato tra le caratteristiche del virus e tutti i fattori sociali che gli hanno permesso di nascere, spandersi e gettare l’intera società nel caos. Non è certo se il Covid 19 non sarebbe esistito in una società socialista. E’ certo che sarebbe stato arginato prima e con meno vittime.
4. La crisi pandemica è la continuazione su un altro terreno della crisi finanziaria del 2008, di quella dei debiti sovrani del 2011, degli scontri geopolitici che hanno gettato nella guerra il mondo arabo e la Siria in particolare. E’ come un virus, appunto, che dal piano economico si trasmette a quello politico, sociale, ambientale e infine perfino sanitario. E viceversa.
5. E allora, ribadiamo, nessuna casualità. La crisi ha finito semplicemente per palesarsi laddove è massimo il divario tra il bisogno di pianificazione e prevenzione da un lato e l’irrazionalità del profitto capitalista dall’altro. In quale altro campo, se non in quello medico e sanitario, è così immediatamente evidente che il profitto privato non può essere lo scopo? In quale altro campo umano è così facilmente comprensibile l’esigenza di un unico sistema sanitario mondiale, pubblico, integrato, privo di brevetti e segreti? In quale altro campo umano è così immediatamente evidente quanto sia reazionaria la presenza di grandi gruppi multinazionali? In quale altro campo si palesa così chiaramente quanto sia necessaria una visione unitaria e dialettica della società a fronte dell’angusta settorializzazione a cui il capitale riduce la scienza?
6. Produzione alimentare, educazione alimentare, rispetto ed equilibrio ambientale, diritti sul lavoro, capacità statistica e analitica di raccogliere dati di massa, rapporto dell’individuo con la comunità, salute mentale, cosa si produce, come e quanto lo si produce: tutto si tocca, tutto si influenza, tutto si fonde. Un concetto impenetrabile per la schiacciante maggioranza degli specialisti borghesi, qualsiasi sia il loro campo di studio.
7. La crisi pandemica non è stata solo la crisi dei posti letto tagliati, dell’assenza di terapie intensive. E’ stata anche la dimostrazione di come la decadenza dell’ideologia dominante si rifletta nello stato della cosiddetta comunità accademica e scientifica: ultraspecializzata, totalmente assuefatta a una logica da libero professionista, incapace di cogliere i legami dialettici tra scienza e società, di trarre dalla propria dignità accademica e professionale le ragioni di critica all’esistente.
Il sorgere di atteggiamenti irrazionali e antiscientifici nella società è l’altro estremo di questo processo. E’ la dimostrazione per assurdo di quanto diciamo. E’ lo scotto che paghiamo per il crollo di credibilità del cosiddetto mondo accademico.
8. Dal trauma pandemico non deriverà nessuna correzione di rotta interna al sistema. Il capitalismo evolve, peggiora, muta. Ma lo fa con la stessa logica di una forza elementare che agisce senza nessun altro scopo che preservare il proprio bisogno di accumulare plusvalore. E per quanto il capitalismo muti in conseguenza delle sue crisi, tale mutamento non è mai una correzione della propria natura. Anzi, è una accelerazione delle sue più intime caratteristiche e contraddizioni. Tutte le tendenze del ciclo capitalista sono state esaltate, tra cui l’aumento della diseguaglianza e l’indebitamento pubblico e privato.
9. Abbiamo visto cosa è successo tra la prima e la seconda ondata. La sanità pubblica non è stata rinforzata, i mezzi di trasporto pubblici nemmeno e ancora meno la scuola pubblica. E non lo saranno. Lo Stato borghese non ne ha interesse e forse nemmeno capacità. Lo Stato è impegnato a sostenere la profittabilità del mercato, non a sottrargli fondi o occasioni di profitto. La pandemia stessa si è rivelata un business formidabile per i tamponi privati. Sono piovuti bonus per incentivare il mezzo privato. Ma non è solo un problema meramente economico. Mancano le risorse umane, i quadri tecnici, politici per risollevare l’intero sistema pubblico. Non esiste una sola corrente della classe dirigente che sappia o voglia investire in questa direzione. La sanità pubblica può oggi essere recuperata solo da un processo di rottura. I quadri che guideranno questo processo verranno dalla classe oppressa, solo a seguito di un risveglio radicale della coscienza di classe.
10. L’arrivo del vaccino e il miglioramento delle terapie ridurrà gradualmente la nocività e la diffusione del Covid 19. Questo non cancellerà i morti. Rimarranno le cause ambientali e sociali che hanno generato la pandemia e che potenzialmente ne genereranno di nuove. Rimarranno le macerie sociali lasciate da questo periodo. L’ultima ondata sarà quella di tutti coloro che in questo periodo hanno saltato le normali cure o gli screening antitumorali. L’ondata continua sarà quella dei morti sul lavoro, per malattie legate a inquinamento atmosferico, per mancanza di accesso alle cure.
11. Ciononostante il capitalismo non finirà da solo sul banco degli imputati. Al contrario. La pandemia viene presentata come un evento casuale, come un meteorite esterno. Essa è l’ideale per supportare una mentalità da “stato di necessità”. E’ necessario un intervento soggettivo, politico, perchè prevalga una lettura diversa della crisi. E non è sufficiente in questo senso concentrarsi su slogan, seppur corretti, come “noi la crisi non la paghiamo”, “basta salari da fame”, “se ci chiudete, ci pagate”. Un lavoratore sa di avere un salario insufficiente. Un precario sa di vivere una condizione misera. Perchè questa consapevolezza si trasformi in mobilitazione è necessario che si colleghi alla percezione di un’alternativa.
12. E’ necessario che parallelamente alla promozione di conflitto sociale emerga un soggetto politico in grado di propagandare, rendere quanto meno visibile, un’opzione di classe e anticapitalista. Si tratta di un’urgenza politica. E ad oggi, in Italia – analisi concreta della situazione concreta – l’unica leva per fare emergere tale soggetto è la creazione di un campo unificato, attraverso un processo costituente, delle diverse organizzazioni anticapitaliste e rivoluzionarie. Le differenze politiche esistenti tra tali organizzazioni devono confrontarsi, e anche confliggere, non in campo aperto ma all’interno di un campo politico riconosciuto dalla classe. La loro genuina lotta per l’egemonia deve darsi all’interno dello sforzo comune per costruire tale soggetto di fronte alla classe. Abbiamo già espresso questa nostra convinzione nell’articolo: “Un’urgente necessità: quale unità anticapitalista?”, a cui rimandiamo. Chi ha gambe, idee, forza militante non dovrebbe temere questo processo. Dovrebbe anzi aspirare a guidarlo.
13. Tale idea si è parzialmente fatta strada tra un settore di attivisti. Pensiamo prima all’Assemblea delle sinistre d’opposizione e poi al Patto d’Azione anticapitalista. Il rischio però è che rimanga sulla carta, vittima di una concezione “a tappe”. Si insiste sulla priorità del conflitto sociale, sul come le organizzazioni nascano dalle mobilitazioni sociali. In questo modo si individua sempre una nuova scadenza di lotta su cui lavorare, rimandando la costituzione di un soggetto politico anticapitalista a quando si sarà finalmente data l’esplosione sociale sufficiente. E questo è vero solo in parte. E’ vero che le organizzazioni di classe non nascono a freddo, che nascono spesso sulla scia di grandi stagioni di lotta. Stagioni di lotta, tra parentesi, che non si danno a comando. Ma questo è valido principalmente quando parliamo di organizzazioni di massa. Se una organizzazione di classe, con caratteristiche anche solo parzialmente di massa, nascesse a seguito di una esplosione sociale, la questione sarebbe chiusa. Ai rivoluzionari non rimarrebbe che discutere se orientarsi lì. Qua stiamo parlando di un altro tipo di esigenza: quella di dotarsi in tempi più rapidi possibili di un soggetto politico anticapitalista in grado di avere un minimo di riconoscibilità e massa critica di fronte alle masse. Non solo tale soggetto deve darsi anche in assenza di mobilitazioni, ma anzi deve darsi con più forza approfittando della tregua data dall’assenza di grandi mobilitazioni di massa.
14. C’è poi un altro equivoco di natura “operaista”: l’idea cioè che il soggetto politico anticapitalista debba basarsi sulle punte avanzate del conflitto sindacale. Anche questo è vero solo in parte. Che un simile soggetto debba vedere nel sindacalismo conflittuale il proprio punto di forza è elementare. Ma un soggetto anticapitalista non si compone di soli lavoratori, né solo di quei lavoratori che si trovano all’interno di contesti dove si produce il sindacalismo più conflittuale. Ed è anche scorretto pensare che la coscienza di classe emerga solo nel campo ristretto della lotta economica tra padrone e lavoratore. Qua non si tratta di politicizzare la lotta economica della classe. Qua si tratta di proporre una visione di classe alternativa e rivoluzionaria sull’intero spettro della vita sociale.
15. Il ritardo nella formazione di un soggetto politico anticapitalista produce infine il risultato opposto di quello che si vorrebbe. Anche laddove il conflitto sindacale e sociale si dà, questo non sedimenta coscienza politica nemmeno in quei settori della classe che ne sono coinvolti. Anche laddove i lavoratori stabiliscono un legame di fiducia con militanti politici impegnati sul piano sindacale, faticano a trasformare tale legame in una visione politica. Anche laddove i lavoratori vedono nel dirigente della microorganizzazione politica il loro punto di riferimento sindacale o sociale, sono perfettamente consapevoli che tale legame non ha nessuna possibilità di essere traslato sul piano politico generale. Il risultato, dicevamo, è esattamente opposto a quello che si vorrebbe: non solo così il conflitto sindacale non genera attivismo politico tra la classe, ma anche gli attivisti politici vengono risucchiati su un terreno meramente economico-sindacale. Esattamente il terreno che risulta palesemente insufficiente di fronte al contesto pandemico dove ogni singola problematica richiama all’urgenza di un sistema complessivamente alternativo.