
“In quale pavido schiamazzo di gallina, che cerca una perla nel letamaio del parlamentarismo, avete ridotto [il marxismo] questa dottrina che rappresenta le grandi ali d’aquila del proletariato!” [1]
Rosa Luxemburg
La Francia della fine dell’800 aveva ancora vivi i segni del martirio subito dal proletariato dopo la sconfitta della Comune di Parigi del 1871. Niente può rivelarsi più spietato di una classe dominante che ha visto in faccia il pericolo di perdere i propri privilegi. Più di 30mila giustiziati e 38mila imprigionati: questo era il prezzo della sconfitta per il proletariato parigino. Ne seguì un’onda di reazione lunga 20 anni, in cui la borghesia francese finì per dividersi in due campi. Un’ala conservatrice aveva sviluppato ormai una profonda intolleranza a qualsiasi forma esteriore della democrazia borghese. Così ad esempio nel 1889 il generale Boulangèr aveva tentato senza successo un colpo di Stato. Un altro settore, invece, quello della cosiddetta borghesia radicale, riteneva impossibile continuare a tenere immerso il proletariato in quel clima di reazione. Le provocazioni dei conservatori rischiavano presto o tardi di generare una nuova esplosione della lotta di classe. Il caso Dreyfuss fu sintomatico. [2] Era necessario provare a immobilizzare il proletariato per altre vie, coinvolgendo le sue stesse organizzazioni nel Governo.
Fu così che quando si insediò il Governo radicale Wadeck-Rosseau, i socialisti furono invitati ad assumere incarichi ministeriali. Con l’idea di appoggiare la borghesia radicale contro quella conservatrice, nel giugno del 1899 il socialista francese Millerand e l’eroe della Comune Galiffet accettarono l’offerta. Il verbo di Bernstein si era fatto carne. Lo stesso dirigente francese Jaurès teorizzò che l’entrata al Governo avrebbe permesso di portare elementi di socialismo all’interno dello Stato. E in fin dei conti non era necessario salvaguardare la repubblica e la democrazia contro le trame dei conservatori? Rosa Luxemburg iniziò a quel punto ad analizzare passo dopo passo l’esperimento francese. Il primo punto su cui polemizzò era l’effettiva possibilità di influenzare un Governo borghese:
E’ evidente che la socialdemocrazia (…) deve occupare tutte le posizioni possibili nello Stato attuale e guadagnar terreno da tutte le parti. Ma ad una condizione: che queste posizioni le permettano di portare avanti la lotta di classe: la lotta contro la borghesia e contro lo Stato. Da questo punto di vista c’è una differenza essenziale tra l’organismo legislativo e il Governo di uno Stato borghese. Nei parlamenti i rappresentanti operai eletti possono, quando non riescono a far passare una propria proposta, perlomeno continuare con la propria opposizione. Il Governo al contrario ha come compito l’obiettivo di eseguire le leggi, l’azione, e non ha spazio nel proprio seno per una opposizione di principio; deve agire costantemente e attraverso ciascuno dei suoi organi. (…) Un avversario che si opponga di principio al regime esistente si trova di fronte alla seguente alternativa: o fare opposizione in ogni momento alla maggioranza borghese, e quindi non essere un membro attivo del Governo (…); o collaborare quotidianamente alle funzioni necessarie perché la macchina dello Stato si mantenga e funzioni, quindi, di fatto, non essere un socialista. (…) Nella società borghese la socialdemocrazia, per la sua stessa essenza, è destinata a giocare il ruolo di partito di opposizione; può accedere al Governo solo sulle macerie dello Stato borghese. [3]
Oltre tutto il contatto con il Governo non era destinato a scorrer via in maniera indolore. Il partito non ne sarebbe uscito allo stesso modo in cui ne era entrato, come si può salire o scendere da un tram. Tale esperienza aveva un enorme potenziale corruttivo:
La natura di un Governo borghese non viene determinata dal carattere personale dei suoi membri, ma dalle funzioni organiche della società borghese. Il Governo dello Stato moderno è essenzialmente una organizzazione del dominio di classe (…). Con l’entrata di un socialista al Governo, la dominazione di classe continua ad esistere, il Governo borghese non si trasforma in un Governo socialista, ma in cambio un socialista si trasforma in un Ministro borghese. (…) L’entrata di un socialista in un Governo borghese non è quindi, come si potrà credere, una conquista parziale dello Stato borghese da parte dei socialisti, ma una conquista parziale del partito socialista da parte dello Stato borghese.[4]
Le previsioni di Rosa Luxemburg si realizzarono a pieno. La montagna di riforme promessa in cambio dell’entrata dei socialisti nel Governo si risolse nel nulla, in un vago riconoscimento giuridico delle associazioni operaie. Ricattati dal pericolo di ritorno al potere dei conservatori, i socialisti furono annichiliti dalla logica del male minore. Arrivati al Governo con l’idea che i radicali fossero comunque il “meno peggio”, finirono per giustificare ogni aspetto della politica borghese. Visto che al peggio non c’è mai limite era facile ipotizzare che ogni misura adottata dall’esecutivo radicale sarebbe stata comunque “peggiore” se varata dai conservatori. Al posto della laicizzazione dello Stato, si ebbe lo stanziamento di ulteriori fondi per la Chiesa cattolica. In politica estera fu votata la spedizione imperialista contro la Cina. E mentre si boffonchiava riguardo al diritto di organizzazione dei lavoratori, la polizia aprì il fuoco su uno sciopero. Ecco – notò la Luxemburg – a cosa si era ridotto il tentativo socialista di abbellire la politica del Governo:
La difesa contemporaneamente degli interessi dei lavoratori e degli imprenditori, mediante concessioni illusorie verso i primi, sostanziali verso i secondi, si esprime in modo tangibile nella elaborazione di misure di nessun valore per far contenti gli operai e nella contemporanea difesa del capitale col ferro delle baionette. [5]
I “pratici” sostenitori del governismo non avevano ottenuto niente di pratico:
Lungi dal rendere impossibili successi pratici tangibili e riforme immediate in senso progressivo, l’opposizione radicale è anzi per ogni partito di minoranza in genere e in modo particolare per il partito socialista, l’unico mezzo reale per raggiungere risultati pratici. [6]
Ai socialisti non rimaneva che giustificare la propria partecipazione al Governo con la difesa dell’esistente, la difesa della democrazia borghese contro i conservatori. Non era già questo di per sé un motivo più che nobile per ingoiare ogni possibile rospo? Per Rosa Luxemburg era l’esatto contrario: proprio l’appoggio dei socialisti al Governo radicale borghese avrebbe finito per favorire le tendenze più reazionarie. Per i lavoratori la democrazia borghese non è un concetto astratto. Non si mangia democrazia né a pranzo né a cena. Lo stipendio in compenso può essere da fame e i manganelli della polizia possono far male sia sotto una repubblica borghese che sotto una dittatura militare. Questo non significa che il movimento operaio sia equidistante tra le due opzioni: difende chiaramente la repubblica contro una dittatura, ma lo fa principalmente perché essa è la cornice migliore per portare avanti la propria lotta rivendicativa. Ma a cosa serve tale cornice senza il quadro? A cosa serviva la repubblica se il partito socialista invece di utilizzarla per condurre la propria lotta, la utilizzava per accaparrarsi posti ministeriali? La collaborazione con la borghesia, immobilizzando il partito, faceva perdere ai lavoratori qualsiasi interesse nella vita politica e nel mantenimento stesso della democrazia parlamentare:
L’effetto fatale della tattica di Jaurès sul movimento di classe del proletariato francese è ormai nota: la dissoluzione dell’organizzazione operaia, la confusione politica, la demoralizzazione dei deputati socialisti. (…) Ma è molto più pericoloso un altro sintomo che in questi giorni si rende manifesto: la disillusione crescente degli stessi lavoratori francesi nei confronti del parlamentarismo. E’ ovvio in effetti che le eccessive illusioni coltivate dalla politica di Jaurès debbano portare violentemente al loro contrario e hanno portato effettivamente al punto in cui una buona parte dei lavoratori francesi non vogliono più saperne nulla, non solo di Jaurès, ma del parlamento e della politica in generale. [7]
Così, nell’opinione della Luxemburg, proprio i socialisti difensori della democrazia erano involontariamente destinati a preparare il terreno per una dittatura. Il Governo Wadeck-Rosseau cadde rovinosamente già nel 1902. I socialisti furono screditati, logorati, usati e poi gettati via come limoni spremuti. Se ciò che ne seguì non fu una dittatura reazionaria, questo avvenne solo perché gli anni successivi furono un periodo di ripresa della lotta di classe in tutta Europa. Ma le parole di Rosa Luxemburg sarebbero potute tranquillamente essere state scritte nemmeno 20 anni dopo in riferimento alla disastrosa esperienza della Repubblica di Weimar che preparò la strada al nazismo.
Nonostante la questione francese si fosse chiusa, la splendida solitudine in cui aveva condotto la propria polemica, le aveva ulteriormente dimostrato quale fosse il grado di adattamento dei partiti operai al parlamentarismo. La critica non poteva quindi limitarsi al governismo, ma doveva essere estesa ad ogni forma di istituzionalismo. Del resto le proposte di Bernstein non erano legate soltanto alla possibile entrata nei Governi borghesi. Esse spostavano completamente il baricentro dell’attività del partito nelle istituzioni di ogni ordine e grado: la nuova frontiera della lotta, a suo dire, erano i consigli municipali. Per Bernstein, la tendenza alla democratizzazione della società era ormai irreversibile:
Il principio della democrazia è la soppressione del dominio di classe. (…) Nella democrazia i partiti, e le classi che stanno dietro ai partiti, imparano a presto a conoscere i limiti del loro potere (…). Il diritto di voto, in democrazia, rende virtualmente il suo titolare partecipe della cosa pubblica, e questa partecipazione virtuale deve tradursi a lungo andare in una partecipazione effettiva. Ad una classe operaia numericamente e intellettualmente non sviluppata, il diritto di voto può apparire per molto tempo ancora il diritto di scegliersi da sé il proprio “macellaio”, ma con lo sviluppo numerico e intellettuale dei lavoratori esso diventa lo strumento per trasformare realmente i rappresentanti del popolo da padroni in servitori del popolo. [8]
Per i marxisti il dominio economico di una classe non viene inficiato dalle diverse forme politiche che tale dominio assume. Lo sfruttamento capitalista è ugualmente salvaguardato sia sotto una dittatura che sotto una repubblica. Anzi in quest’ultima, come spiegò Engels, il capitale “esercita il potere indirettamente ma in maniera tanto più sicura”, con “l’alleanza tra Governo e Borsa”. [9] A questo Rosa aggiunse la spiegazione di come il parlamentarismo borghese non avesse di fronte a sé una scoppiettante fioritura ma un noioso appassimento. Ai suoi albori la democrazia borghese aveva usato il parlamento come tribuna per mobilitare il grosso della popolazione contro la vecchia società feudale. Una volta esaurito questo compito, agli occhi della classe dominante, il parlamentarismo non faceva che ridursi a puro tecnicismo legislativo. Era inevitabile che i lavoratori non vedessero nella vita delle istituzioni che noia e parole volutamente ermetiche. Questo non era il segno dell’immaturità della classe di fronte alla maturità del parlamento borghese, ma al contrario della decadenza del parlamentarismo di fronte alla maturità della classe. I lavoratori sottoposti ogni giorno alle ingiustizie della società non desideravano altro che sentir parlare dei problemi reali, con un linguaggio reale:
le fondamenta del parlamentarismo sono molto più sicure e protette più la nostra tattica non si fonda solamente sul parlamentarismo, ma nell’azione diretta della massa proletaria. (…) Quanto più in violenta dissonanza con il tono banale e la routine monotona di tutti i partiti borghesi, risuoni al parlamento la franca e stimolante agitazione della socialdemocrazia, (…) tanto più salirà il rispetto a riguardo delle masse popolari. E tanto più solida sarà la garanzia che non si lascino strappare via passivamente questa tribuna e, con essa, il suffragio universale.[10]
Ma per buona parte dei dirigenti socialdemocratici il parlamento stava gradualmente cessando di essere semplicemente una tribuna. Giorno dopo giorno scambiavano quel mondo posticcio per il reale centro decisionale della società. Ne derivava la parola d’ordine: raggiungere il 51% della maggioranza parlamentare. Una consegna destinata inesorabilmente a preparare l’alleanza con le forze borghesi. Se l’obiettivo era la maggioranza parlamentare, infatti, perché non ottenerla subito sommando le proprie forze a quelle dei partiti borghesi “radicali”? Per Rosa Luxemburg al contrario, anche se un partito operaio avesse raggiunto da solo la maggioranza elettorale, avrebbe scoperto a proprie spese che le forme democratiche non sono un dogma assoluto per la borghesia. Esse servono finché imbrigliano il proletariato e possono essere rimosse se non rispondono più a questa funzione:
Le istituzioni formalmente democratiche (…) [sono], per il contenuto, lo strumento degli interessi di classe dominanti. Ciò si rivela nella maniera più evidente nel fatto che, allorquando la democrazia ha la tendenza a smentire il suo carattere di classe e a trasformarsi in uno strumento degli interessi reali del popolo, le stesse forme democratiche vengono sacrificate dalla borghesia. [11]
[1] ROSA LUXEMBURG, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma, 1970. pp.377-388.
[2] Alfred Dreyfus; ufficiale francese che nel 1894 fu condannato per alto tradimento. In verità il suo processo fu pesantemente influenzato dalle sue origini ebraiche e servì alla destra francese a sviluppare una forte campagna antisemita nella società. La palese ingiustizia di cui fu oggetto scatenò però nella società anche un movimento opposto, per l’uguaglianza e contro le discriminazioni religiose.
[3] MARIA JOSE AUBET, El pensamiento de Rosa Luxemburg, Ediciones del Serbal, Barcellona, 1983, p. 109. Nostra traduzione dallo spagnolo.
[4] Ivi, p. 111.
[5] PAUL FROLICH, Op. Cit., p. 81.
[6] Ibidem.
[7] MARIA JOSE AUBET, Op. Cit., p.113.
[8] EDUARD BERNSTEIN, Op. Cit.
[9] citato in LENIN, Stato e Rivoluzione
[10] MARIA JOSE AUBET, Op. Cit., p. 116.
[11] ROSA LUXEMBURG, Riforma sociale o rivoluzione, Newton Compton, Roma, 1978, pp. 32-34.« Precedente: Il cuore dell’apparato batte a destra Successivo: Violenza, non violenza e lotta di massa »