
In conclusione, diciamolo pure apertamente fra di noi: i passi falsi che compie un reale movimento operaio rivoluzionario sono sul piano storico incommensurabilmente più fecondi e più preziosi dell’infallibilità del miglior comitato centrale. [1]
Rosa Luxemburg.
Rosa Luxemburg considerò l’articolo Problemi di organizzazione della socialdemocrazia russa appena come un diversivo dalla lotta che stava conducendo contro l’opportunismo. Tutto il testo è permeato dall’idea di criticare Lenin per polemizzare con il regime interno della socialdemocrazia tedesca. E’ evidente che ciò che le interessava non era la questione in sé, ma ciò che l’Spd ne poteva trarre. Che cosa conosceva del resto del Congresso russo del 1903? La sua organizzazione, la Socialdemocrazia polacca, aveva rifiutato di prendervi parte in polemica con l’articolo 7 del programma del Posdr che difendeva il “diritto all’autodeterminazione delle nazioni”. La Luxemburg lo riteneva una concessione inaccettabile al nazionalismo polacco. Affrontò la questione sotto questa lente particolare, giustificando così la mancata adesione al Posdr: “Per noi l’intero problema dell’affiliazione più che un’importanza pratica ha un’importanza morale, come presa di posizione permanente contro il nazionalismo”.
Fu quindi questo il contesto estremamente complesso in cui scrisse il suo famoso articolo. Iniziamo a sgomberare il campo dal luogo comune più ricorrente. Il dibattito tra Lenin e Rosa Luxemburg non riguardò l’esigenza di un partito organizzato unitariamente. Non si trattava di “centralismo versus federalismo”:
Il problema a cui la socialdemocrazia russa lavora da parecchi anni, è precisamente il passaggio dal tipo di organizzazione locale, frammentaria, sulla base di circoli indipendenti, (….) all’organizzazione quale è richiesta per un’azione politica unitaria di massa in tutto uno Stato. E poiché il tratto più spiccato delle vecchie forme organizzative, ormai insostenibili e politicamente superate, era la dispersione e la piena autonomia delle organizzazioni locali, centralismo fu naturalmente la parola d’ordine della nuova fase, della grande opera organizzativa che era stata intrapresa. (…) Non v’è alcun dubbio che una forte tendenza centralistica è in generale immanente alla socialdemocrazia. Sorta sul terreno economico del capitalismo, che è di sua natura centralistico, e costretta alla sua lotta entro la cornice politica del grande Stato borghese centralizzato, la socialdemocrazia è dalla nascita avversaria dichiarata di ogni particolarismo e di ogni federalismo nazionale. Chiamata a rappresentare gli interessi generali del proletariato come classe di fronte a tutti gli interessi parziali e di gruppo del proletariato stesso, nel quadro di uno Stato determinato, essa ha ovunque la naturale aspirazione a riunire tutti i gruppi nazionali, religiosi, professionali della classe operaia in un partito unitario e ammette un’eccezione in favore del principio federalistico solo in caso di necessità (…). Sotto questo profilo era ed è fuori discussione anche per la socialdemocrazia russa il fatto che essa non dovesse formare un conglomerato federativo di innumerevoli organizzazioni singole (…), ma un compatto partito operaio. [2]
Ciò che premeva alla Luxemburg era evitare di assolutizzare qualsiasi principio organizzativo, identificando sempre e comunque il centralismo organizzativo con le posizioni rivoluzionarie. Se questo binomio era generalmente valido, e lo era in particolare per la Russia, non poteva essere elevato a dogma:
Certo non si può negare che ci sia stata fino ad oggi nella prassi della socialdemocrazia dell’Europa occidentale una connessione fra opportunismo ed elementi intellettuali, come d’altro lato fra opportunismo e tendenze decentralizzatrici nei problemi organizzativi. (…) In linea astratta si può dire soltanto che l’ “intellettuale” in quanto elemento che proviene dalla borghesia estraneo per la sua origine al proletariato, non può arrivare al socialismo in armonia con il suo sentimento di classe ma solo superandolo ideologicamente e perciò è più disposto alle deviazioni opportunistiche che non il proletariato (…) al quale il suo istinto di classe -purché egli non abbia perduto un legame vivente con il suo terreno sociale d’origine, la massa proletaria – dà un sicuro atteggiamento rivoluzionario. I fenomeni manifestatisi nella vita della socialdemocrazia tedesca, francese e italiana, a cui si richiama Lenin, sono sorti da una base sociale ben definita, cioè dal parlamentarismo borghese. Siccome questo è in generale lo specifico terreno di coltura dell’attuale tendenza opportunistica nel movimento socialista dell’Europa occidentale, quivi germogliano pure le particolari tendenze dell’opportunismo alla disorganizzazione. Il parlamentarismo non sostiene soltanto tutte le note illusioni del moderno opportunismo (…): la sopravvalutazione delle riforme, della collaborazione delle classi e dei partiti, del pacifico sviluppo ecc. Esso costituisce in pari tempo il terreno su cui queste illusioni possono affermarsi praticamente in quanto separa anche nella socialdemocrazia gli intellettuali, nella loro veste di parlamentari, dalla massa proletaria e anzi in una certa misura li colloca al di sopra. (…) Il moderno letterato dell’Europa occidentale che si dedica al culto del suo preteso “io” e introduce questa morale da padroni anche nella lotta e nel pensiero socialisti (…) è cioè il prodotto di una borghesia decadente, marcia, chiusa nel circolo vizioso del suo dominio di classe. (…) Attribuire all’opportunismo come fa Lenin una preferenza generale per una determinata forma di organizzazione (…) significa in ogni caso misconoscere la sua intima natura. Opportunista com’è, l’opportunismo anche nei problemi organizzativi ha un solo principio – la mancanza di principi. [3]
Nella sua polemica col menscevismo, Lenin chiamava ripetutamente in suo soccorso l’esempio dell’organizzazione dell’Spd. Rosa Luxemburg invece vedeva quest’organizzazione da vicino e iniziava a percepire come in Germania il problema non fosse quello di affermare uno spirito di disciplina nella base del partito ma quello di metterla in guardia dall’obbedienza cieca ai propri dirigenti. La polemica di Lenin si sviluppava nel Posdr, un partito tutto da formare e in preda ad ogni tipo di esaltazione del decentramento e della spontaneità. Rosa Luxemburg scriveva in un partito – come lo definì anni dopo – “in cui (…) il principio dell’organizzazione e della disciplina interna è così esemplarmente tenuto alto, in cui di conseguenza l’iniziativa di masse popolari non organizzate, la loro spontanea, per dir così improvvisata capacità d’azione – un così importante e spesso decisivo fattore in tutte le grandi lotte politiche finora svoltesi – è pressoché esclusa.”[4] Nel contesto tedesco la lode del centralismo era un’arma nelle mani della burocrazia in formazione e non dell’ala rivoluzionaria. Pur riconoscendo che Lenin non esprimeva altro che l’esigenza di lottare contro l’opportunismo russo, tutta la polemica della Luxemburg era mirata ad affermare il carattere potenzialmente conservatore della direzione:
Il ruolo della direzione socialdemocratica è essenzialmente conservatore: l’esperienza mostra infatti che essa tende a rielaborare di continuo, fino alle estreme conseguenze, ogni nuova piattaforma di lotta di volta in volta conquistata, e a tramutarla tosto in un baluardo contro ogni ulteriore innovazione di grande stile. (…) il nostro partito [la socialdemocrazia tedesca] si è meravigliosamente adattato nella sua lotta quotidiana al presente terreno parlamentare (…), intende sfruttare tutto il terreno di lotta offerto dal parlamentarismo (…). Ma in pari tempo questa specifica configurazione della tattica nasconde già orizzonti più vasti, di modo che si afferma nettamente la tendenza a considerare la tattica parlamentare come eterna, come la genuina tattica della lotta socialdemocratica. (…) Ma significherebbe potenziare artificialmente e in misura pericolosissima il carattere naturalmente e necessariamente conservatore di ogni direzione di partito se si volesse dotarla di poteri così assoluti di carattere negativo, come fa Lenin. (…) l’ultracentralismo raccomandato da Lenin ci sembra pervaso in tutto il suo essere non dallo spirito positivo e creatore ma dallo spirito sterile del guardiano notturno. La sua concezione è fondamentalmente diretta a controllare l’attività di partito e non a fecondarla, a restringere il movimento e non a svilupparlo, a soffocarlo e non a unificarlo. (…) Ma lo spirito di guardiano notturno dell’ultracentralismo, raccomandato da Lenin e dai suoi amici, non è un prodotto accidentale di errori, bensì si riallaccia ad un’opposizione all’opportunismo condotta fino al minimo dettaglio dei problemi organizzativi. [5]
Che ne è dunque del presunto spontaneismo di Rosa Luxemburg? Diverse frasi nel suo articolo potrebbero prestarsi a tale interpretazione. Una delle più note è “la socialdemocrazia non è legata all’organizzazione della classe operaia ma è il movimento specifico della classe operaia”. Lo stalinismo e il riformismo vi costruirono sopra una vera e propria leggenda. L’espressione non è forse tra le più fortunate, ma cosa si può dire di chi cerca di dedurre il significato della vita di un individuo da una frase? Rosa Luxemburg intendeva semplicemente che la coscienza della classe – e il partito ne dovrebbe essere l’espressione più avanzata – nasce inizialmente dal movimento inconscio della classe stessa: “l’inconscio precede il conscio”[6]. Lo stesso concetto era stato espresso in maniera ancora più chiara da Lenin,: “In fondo l’elemento spontaneo non è che la forma embrionale della coscienza”. [7] Il marxismo infatti non inventa nulla, ma – parafrasando Trotsky – trasforma in conscio il movimento inconscio nella testa dei lavoratori. Esistono alla pari centinaia di frasi che smentiscono l’idea di una Luxemburg sostenitrice del partito-movimento. Così si esprimeva, appena un anno dopo, nel 1904:
Noi siamo un partito di massa, cerchiamo di elevare la coscienza che il proletariato ha del proprio ruolo, possiamo guidarlo, ma non siamo in grado – e non dobbiamo in nessun caso tentare – di condurre la lotta di classe in vece sua (…). D’altro canto non dobbiamo neppure oscurare la differenza che esiste tra l’organizzazione di partito e la massa informe, come suggerisce di fare l’ala opportunista del Posdr [i menscevichi – Ndr]. [8]
Ma esiste una riprova più forte di qualsiasi citazione: la pratica. Rosa non era solo militante della socialdemocrazia tedesca, ma lo era anche della socialdemocrazia polacca (Skpd). All’interno di quest’ultimo partito non rappresentava una minoranza, né un pungolo da sinistra, ma una delle dirigenti fondamentali. Se avesse covato qualsiasi idea di partito-movimento o di organizzazione “a rete”, sarebbe stato lecito perciò aspettarsi che la mettesse in pratica lì. Dal 1906 la Socialdemocrazia polacca, e con essa Rosa Luxemburg, invece si unì al Posdr. Non solo, come vedremo, finì per difendere il bolscevismo da qualsiasi accusa proveniente da destra, ma fu in concreto l’ago della bilancia che regalò di nuovo ai bolscevichi la maggioranza del partito.
Quale era tra l’altro il regime organizzativo del partito polacco? L’Skpd aveva tenuto il proprio congresso fondativo nel 1894. Il secondo era avvenuto ben 6 anni dopo, nel 1900, quando si era fusa con la socialdemocrazia lituana, prendendo il nome di SkpdL. Lo statuto del partito era fondato su un centralismo estremamente rigido, da far impallidire quello prospettato da Lenin. Uno dei suoi dirigenti Dzierzynskì nel 1903 la definì: “un nuovo tipo di organizzazione senza diritti oltre a quelli di lavorare, di eseguire le istruzioni del comitato estero”. [9] Mentre Lenin aveva lottato per dare una base democratica e professionale al centralismo bolscevico, quello dell’SdkpL si coniugava con il più forte informalismo. La dispersione geografica del gruppo dirigente favoriva una situazione in cui gli stessi dirigenti agivano spesso di testa propria, con forti poteri ma senza un collegamento organico. Mentre il bolscevismo aveva fatto dell’autofinanziamento una propria colonna portante, l’informalismo regnante nell’organizzazione polacca impediva un corretto approccio alla questione. Non c’erano tempi pieni, funzionari pagati dall’autofinanziamento dell’organizzazione, ma ognuno doveva trovare il modo di guadagnarsi da vivere come meglio poteva. Ne conseguiva che i dirigenti più in vista erano anche quelli relativamente benestanti. Nei fatti il partito sviluppò anche una certa dipendenza dallo stanziamento che Rosa Luxemburg riusciva ad ottenere dall’Spd tedesca.
La polemica tra Lenin e Rosa Luxemburg non fu quindi la contrapposizione tra due “sistemi organizzativi” diversi. Per entrambi le questioni organizzative erano in relazione costante con le esigenze della lotta politica. L’enfasi da porre di volta in volta sui diversi aspetti dell’organizzazione variava con il variare degli obiettivi politici. Così la stessa Luxemburg, mentre era impegnata a mettere in guardia dall’eccessivo spirito di disciplina nell’Spd, era preoccupata dalla libertà lasciata ai revisionisti:
Come in ogni partito politico, la libertà di critica del nostro modo di essere deve avere limiti precisi. Ciò che caratterizza la nostra essenza, la lotta di classe, non può essere esposto alla “libera critica” all’interno del partito. Non possiamo commettere un suicidio in nome della “libertà di critica”; (…) l’opportunismo si propone di spezzarci la spina dorsale, di distruggerci in quanto partito della lotta di classe. [10]
Basterebbe del resto considerare quale fu la risposta di Lenin alle osservazioni della Luxemburg:
La compagna Luxemburg quindi suppone che io difenda un sistema di organizzazione contro un altro. Ma in verità non è così. Dalla prima all’ultima pagina del mio libro, io difendo i principi di qualsiasi praticabile sistema di organizzazione di partito. Il mio libro non tratta della differenza di un sistema di organizzazione rispetto ad un altro, ma di come un sistema può essere mantenuto, criticato e modificato. [11]
A questo aggiunse: “[la dialettica] afferma che non ci sono verità astratte, ma che la verità è sempre concreta”,volendo così sottolineare il differente contesto in cui muovevano le loro rispettive posizioni. Chi si approccia a questa polemica cercando i famosi “principi organizzativi del leninismo”, o d’altra parte quelli del “partito-movimento luxemburghiano”, è destinato quindi a rimanere deluso. Il ricettario dell’organizzazione leninista o di quella luxemburghiana sarebbe stato scritto soltanto anni dopo dagli stalinisti. Una cosa però iniziava ad apparire chiara. Se tra i due c’era chi assolutizzava gli effetti del centralismo, questa era forse la Luxemburg. Come evidenziò Lenin: “Rosa Luxemburg procede in termini di realtà assoluta ignorando quelle relative. Essa è ad esempio talmente preoccupata dagli orrori del controllo centralizzato da non affermare neppure le ragioni che ci spingono a desiderarlo.”[12]
La sinistra interna all’Spd avrebbe finito per considerare la struttura centralizzata del partito come la fonte di tutti i mali.
Un errore che non sarebbe rimasto senza conseguenze. Al momento opportuno la tendenza marxista tedesca, con il suo rifiuto del centralismo, si sarebbe rivelata nient’altro che una somma di gruppi locali incapaci di una pratica unitaria.
[1] ROSA LUXEMBURG, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma, 1970. pp. 216-236.
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] ROSA LUXEMBURG, Scritti scelti, Edizioni Avanti!, Milano, 1963. p 343.
[5] ROSA LUXEMBURG, Scritti politici, Editori Riuniti, Roma, 1970. pp. 216-236.
[6] Ibidem.
[7] LENIN, Che fare?, Editori Riuniti, Roma, 1974, p. 62.
[8] PETER NETTL, Op. Cit., p. 414.
[9] Ivi, p. 225-227.
[10] Ivi, p.184.
[11] ALAN WOODS, Op. Cit., p. 153. Nostra traduzione dall’inglese.
[12] PETER NETTL, Op. Cit., p. 246.