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All’inizio del 1917 in tutta la Russia si preparava il terreno per la presa del potere operaio all’interno del luoghi di lavoro. Attraverso le commissioni interne di fabbrica gli operai poterono sperimentare per gradi la gestione dell’intero processo produttivo, con risultati che portarono alla consapevolezza che si sarebbe resa necessaria con l’Ottobre. Gli iniziali conflitti tra le organizzazioni di categoria – federazioni – e le commissioni interne si sarebbero risolti solo attraverso il processo rivoluzionario che seguì quei mesi di fermento e sperimentazione.


 

Quando scoppiò la rivoluzione di marzo, i proprietari e i direttori di molti impianti industriali o li ab­bandonarono o furono cacciati via dagli operai. Que­st’ultimo fu particolarmente il caso delle officine di stato alla mercé degli irresponsabili impiegati dello zar.

Trovandosi senza capi, senza sorveglianti e, in molti casi, anche senza ingegneri e impiegati di am­ministrazione, gli operai furono messi nell’alternativa di prendere la direzione del lavoro o di morire di fa­me. Fu eletta una commissione scegliendo un delegato per ogni reparto: e questa commissione cercò di far andare avanti la fabbrica. Naturalmente dapprinci­pio la cosa parve disperata; in questo modo si pote­vano coordinare le funzioni dei diversi reparti, ma la mancanza negli operai di una istruzione tecnica conduceva spesso a risultati grotteschi.

Ma alla fine, in un comizio di fabbrica, un operaio si alzò e disse: <<Compagni, perchè ci preoccupiamo? La questione del personale tecnico non presenta dif­ficoltà. Ricordatevi, il padrone non era un tecnico: il padrone non conosceva l’arte dell’ingegnere o la chimica o l’amministrazione. Tutto quello ch’egli faceva era di fare il proprietario. Quando aveva bisogno di un aiuto tecnico, egli stipendiava uomini che glielo dessero. Orbene, i padroni ora siamo noi. Stipendiamo degli ingegneri, degli amministratori e così via – che lavorino per noi».

Nelle officine di stato il problema era relativamente semplice, perchè la rivoluzione aveva cacciato via automaticamente il «padrone» e nessuno lo aveva sostituito. Ma quando le commissioni di fabbrica si estesero alle imprese private, furono insidiosamente combattute dai proprietari, la maggior parte dei quali erano venuti ad accordi con le organizzazioni.

Anche però nelle officine private le commissioni interne furono il prodotto di una necessità. Dopo i primi tre mesi di rivoluzione, durante i quali la clas­se media e le organizzazioni proletarie lavorarono insieme in un’utopistica armonia, i capitalisti dell’industria cominciarono a spaventarsi dell’aumento di potere e di ambizione delle organizzazioni operaie, così come i proprietari fondiari si spaventarono delle commissioni per la terra, e gli ufficiali dei Soviet e dei comitati di soldati. Verso la prima metà del mese di giugno incominciò la campagna più o meno cosciente di tutta la borghesia per arrestare la rivolu­zione e spezzare le organizzazioni democratiche. I proprietari delle industrie avevano fatto il piano di spazzare via ogni cosa, a cominciare dalle commissioni interne fino ai Soviet. Fu disorganizzato l’esercito; gli si fecero mancare armi, viveri e munizioni. Furono consegnate ai tedeschi alcune posizioni – Riga ad esempio; nelle campagne si consigliò ai contadini di nascondere il loro grano, e si provocarono disordini che offrirono ai Cosacchi l’occasione di “ristabilire l’ordine”.

Nel campo industriale poi, il più importante di tutti, si operò il sabotaggio delle macchine e di tutto il procedimento industriale, si affondarono trasporti, lo miniere di carbone, di metallo e le altre sorgenti di materie prime furono danneggiate nel maggior modo possibile. Si fece ogni sforzo per distruggere l’attività delle officine, e ricacciare gli operai sotto il giogo del vecchio regime economico.

Gli operai furono costretti a difendersi: la commis­sione interna di fabbrica si fece avanti e preso il suo posto. Dapprima, si capisce, gli operai quasi commi­sero sbagli ridicoli, e in tutto il mondo se ne è par­lato: chiesero salari impossibili, cercarono di applicare complicati processi scientifici di lavorazione, senza avere la necessaria esperienza: in alcuni casi chiesero al padrone di tornare ad assumere la pro­prietà della sua azienda. Ma questi casi sono la grande minoranza. Nel maggior numero dei casi gli operai trovarono in sè suffìcienti risorse per poter gestire l’industria senza padroni.

I proprietari cercarono di falsificare i libri, di tener celate le ordinazioni; la commissione interna fa co­stretta a trovare il modo di controllare i libri. I pro­prietari cercarono di far andare a male i lavori – perciò la commissione dovette sorvegliare che nulla en­trasse e nulla uscisse dall’officina senza permesso.

Quando la fabbrica stava per chiudersi per mancanza di legno, di materie prime, o di ordinazioni, la com­missione interna dovette mandare emissari alle mi­niere, attraversando mezza la Russia, o alle sorgenti di petrolio del Caucaso, o alle piantagioni di cotone della Crimea: anche per la vendita dei prodotti do­vettero gli operai stessi inviare degli incaricati spe­ciali. Dato il dissesto delle ferrovie, gli incaricati delle commissioni dovettero venire ad accordi colla federa­zione dei ferrovieri per la concessione dei mezzi di trasporto. Per difendersi dagli spezzatori di scioperi, la commissione dovette prendersi l’incarico dell’as­sunzione e del licenziamento delle maestranze.

A questo modo la commissione interna di fabbrica fu creazione dell’anarchia russa, spinta dalla necessi­tà ad imparare il modo di gestire l’industria, cosicchè quando si presentò l’occasione, gli operai poterono con minori contrasti assumersi il controllo dell’offi­cina.

Come esempio della collaborazione delle masse si può portare il fatto di duecentomila puds di carbone, che nel dicembre furono presi dalle stive della flotta del Baltico, e furono dalle commissioni dei marinai destinate a mantenere in attività le fabbriche di Pie­trogrado durante la carestia di carbone.

Le officine Obucof erano uno stabilimento metallurgico che lavorava per la marina da guerra. Il capo della commissione interna era un russo-americano, di nome Petrovski, conosciuto in America come anar­chico. Un giorno il capo del reparto torpedini disse a Petrovski che il reparto avrebbe dovuto chiudersi per l’impossibilità di procurarsi certi piccoli tubi usati nella fabbricazione delle torpedini. Questi tubi erano fabbricati da una fabbrica posta sul fiume, i cui pro­dotti erano accaparrati in anticipo già per tre mesi. La chiusura del reparto torpedini avrebbe significato la disoccupazione di 400 operai.

«Procurerò io i tubi», disse Petrovski e andò di­rettamente alla fabbrica di essi, dove, invece di par­lare al direttore, cercò il capo della locale commissione interna.

«Compagno, gli disse, entro due giorni non ab­biamo i tubi. Il nostro reparto torpedini si chiuderà, e 400 operai saranno senza lavoro».

Il capo della commissione cercò i suoi libri di officina, e trovò che alcune migliaia di tubi erano acca­parrati da tre stabilimenti privati delle vicinanze. Si recò con Petrovski in questi stabilimenti, e qui pure si rivolse ai capi delle commissioni interna. Si trovò che in due fabbriche i tubi non erano necessari im­mediatamente; il giorno dopo le officine Obucof eb­bero il materiale che loro occorreva, e il reparto tor­pedini non dovette chiudersi…

A Novgorod eravi una fabbrica di tessuti. Scoppiata la rivoluzione il padrone disse tra di sè: «Le cose si intorbidano; mentre dura la rivoluzione non potre­mo fare nessun guadagno. Sospendiamo i lavori fino a che le cose non si rischiarino ». Cosi fece, ed egli e il personale degli uffici, chimici, ingegneri e diret­tori, presero il treno per Pietrogrado. 11 giorno dopo Ia fabbrica fu aperta dagli operai.

Ora questi operai erano forse un po’ più ignoranti della maggior parte degli altri; non conoscevano nulla del processo tecnico della manifattura, della direzione, della vendita. Elessero una commissione interna di officina, e avendo trovato una discreta riserva di combustibile e di materia prima intrapresero la confe­zione di tessuti d cotone.

Non conoscendo che cosa si faceva dei tessuti dopo averli manufatti, prima si provvidero essi in modo suf­ficiente per le loro famiglie, poi, essendosi guastati alcuni telai, mandarono delegati a una officina mec­canica delle vicinanze, dicendo che avrebbero dato dei tessuti in cambio dell’assistenza meccanica. Fatto ciò, fecero un contratto con la locale cooperativa cittadina, dando le loro stoffe in cambio di viveri, ed estesero il principio del baratto fino al punto di scambiare manufatti di cotone col combustibile delle miniere di carbone di Karkof, e con la federazione dei ferrovieri per ottenere i mezzi di trasporto.

Ma infine essi saturarono il mercato locale di tessuti di cotone e trovarono davanti a sè una domanda che non potevano soddisfare con delle stoffe: l’affitto. Ciò fu nei giorni del governo provvisorio, quando vi erano ancora proprietari della terra. L’affitto doveva essere pagato con denaro. Allora essi riempirono un treno dei loro manufatti e lo mandarono a Mosca sotto la sorveglianza d’un membro della commissione. Questi lasciò il treno alla stazione, si reco in città, al labora­torio di un sarto, al quale chiese se aveva bisogno di stoffe.

“Quanto ne avete?”, chiese il sarto.

“Un treno intiero.”

“A che prezzo?”

“Non lo so. Quanto pagate voi di solito le stoffe?”

Il sarto pagò una somma infima, e il membro della commissione, che non aveva mai visto tanto danaro in una volta, tornò a Novgorod molto soddisfatto.

Ma anche la questione del fitto era stata risolta dal­la commissione interna, la quale aveva regolato la produzione in modo da ricavare, dalla vendita delle stoffe in soprapiù, tanto da poter pagare l’affitto per tutti gli operai!

In questo modo in tutta la Russia gli operai venivano acquistando Ia necessaria conoscenza dei prin­cipi fondamentali della produzione industriale, e anche della distribuzione, cosicchè quando scoppiò la rivoluzione di novembre essi poterono prendere il loro posto nell’ingranaggio del controllo operaio.

Nel giugno 1917 fu tenuto il primo convegno dei delegati delle commissioni interne, e in quest’epoca le commissioni si erano appena estese fuori di Pie­trogrado. Fu però un notevole convegno, delegati e­rano quelli che oggi costituiscono la grande massa, la maggior parte bolscevichi, parecchi sindacalisti anar­chici; il tono principale delle discussioni fu di pro­testa contro la tattica delle federazioni. Nel campo politico i bolscevichi andavano ripetendo che nessun socialista deve prender parte insieme con la borghesia a un governo di coalizione. Il congresso dei dele­gati delle commissioni interne prese lo stesso atteggia­mento nei riguardi dell’industria. In altre parole la classe dei capitalisti e gli operai non avevano nessun interesse in comune; nessun operaio cosciente poteva esser membro di un ufficio di arbitrato o di concilia­zione eccetto che per informare gli industriali delle domande degli operai. Nessun accordo tra capitalisti e operai; la produzione industriale deve essere asso­lutamente controllata dagli operai.

Dapprima le federazioni di mestiere combatterono aspramente contro le commissioni interne. Ma le commissioni, le quali erano in condizione di afferrare al cuore la direzione dell’industria, consolidarono ed estesero facilmente il loro potere. Molti operai non erano in grado di vedere la necessità di entrare in una federazione; ma tutti vedevano la necessità di partecipare alle elezioni della commissione interna che esercitava il controllo in funzione del lavoro. D’al­tra parte, le commissioni riconoscevano il valore del­le federazioni; nessun nuovo operaio veniva assunto se non mostrava la tessera delle organizzazioni; spet­tava alla commissione interna l’applicazione locale dei regolamenti delle diverse federazioni. Oggi le organizzazioni di mestiere e le commissioni interne di fabbrica lavorano in perfetta armonia, ognuna nel proprio campo.