Gli anarchici, da parte loro, tentano di vedere lo stalinismo come prodotto organico non solo di bolscevismo e marxismo, ma anche del ‘socialismo di stato’ in generale. Essi vogliono rimpiazzare la patriarcale ‘federazione di liberi comuni’ di Bakunin con una moderna federazione di liberi Soviet. Ma, come prima, essi sono contro il potere statale centralizzato. Una stessa branca del marxismo ‘statale’ invece, la socialdemocrazia, dopo esser giunta al potere è divenuta un aperto agente del capitalismo. Gli altri hanno dato vita ad una nuova classe privilegiata. È ovvio che la fonte del male risiede nello stato. Da un’ampia prospettiva storica, c’è una certa verità in tal modo di ragionare. Lo stato come apparato di coercizione è un’indubitabile fonte di corruzione morale e politica. Ciò si applica anche, come mostrato dall’esperienza, in relazione allo stato operaio. Conseguentemente si può dire che lo stalinismo è il prodotto di una condizione sociale nella quale la società è ancora incapace di strapparsi di dosso la camicia di forza rappresentata dallo stato. Ma questa posizione, che non contribuisce in niente all’elevazione del bolscevismo e del marxismo, caratterizza solo il livello generale dell’umanità e – soprattutto – i rapporti di forza tra il proletariato e la borghesia. Essendo convenuti con gli anarchici che lo stato, persino lo stato operaio, è il prodotto della barbarie classista e che la vera storia dell’umanità avrà inizio con l’abolizione dello stato, abbiamo ancora ritta innanzi a noi la questione: quali vie e metodi porteranno, infine, all’abolizione dello stato? L’esperienza recente testimonia che essi non sono comunque i metodi dell’anarchismo.

I leader della Federazione Spagnola del Lavoro (CNT), l’unica importante organizzazione anarchica in tutto il mondo, sono diventati, nelle ore più critiche, ministri borghesi. Essi hanno spiegato il loro aperto tradimento dell’anarchia con la pressione delle “circostanze eccezionali”. Ma non è la stessa giustificazione usata, a loro tempo, dai leader della socialdemocrazia tedesca? Una guerra civile non è, naturalmente, né pacifica né ordinaria, ma piuttosto è una “circostanza eccezionale”. Ogni seria organizzazione rivoluzionaria si prepara, però, precisamente per “circostanze eccezionali”. L’esperienza spagnola ha mostrato ancora una volta che lo stato può essere “rifiutato” in opuscoli pubblicati in “circostanze normali” con il permesso dello stato borghese, ma le condizioni rivoluzionarie non lasciano spazio per il rifiuto dello stato: esse richiedono, al contrario, la conquista dello stato. Noi non abbiamo la ben minima intenzione di rimproverare gli anarchici per non aver liquidato lo stato con un semplice tratto di penna. Un partito rivoluzionario, pur essendosi impadronito del potere (cosa che non seppero fare i leader anarchici, nonostante l’eroismo degli operai anarchici), non è affatto ancora il governatore sovrano della società. Ma ancor più severamente dobbiamo rimproverare la teoria anarchica, che è parsa essere completamente appropriata per periodi di pace, ma che è stato opportuno gettar via il più rapidamente possibile non appena le “circostanze eccezionali” della… rivoluzione erano cominciate. Ai vecchi tempi c’erano certi generali – e probabilmente ci sono ancora – che ritenevano che la cosa più nociva per un esercito fosse la guerra. Poco migliori sono quei rivoluzionari che si lamentano del fatto che la rivoluzione distrugge la loro dottrina.

I marxisti sono pienamente d’accordo con gli anarchici riguardo il loro obiettivo finale: l’eliminazione dello stato. I marxisti sono “pro-stato” solo nel grado in cui non si può raggiungere l’eliminazione dello stato ignorando semplicemente quest’ultimo. L’esperienza dello stalinismo non confuta gli insegnamenti di Marx ma anzi li conferma per contrario. La dottrina rivoluzionaria che insegna al proletariato ad orientarsi correttamente nelle varie situazioni e di approfittare attivamente di esse, non contiene, ovviamente, alcuna garanzia automatica di vittoria. Ma la vittoria è possibile solo attraverso l’applicazione di tale dottrina. Inoltre, la vittoria non va immaginata come un singolo evento. Essa va considerata nella prospettiva di un’epoca storica. Lo stato operaio – ad un più basso livello economico e circondato dall’imperialismo – è stato trasformato nella gendarmeria dello stalinismo. Ma il genuino bolscevismo ha lanciato una battaglia mortale contro la gendarmeria. Lo stalinismo, per potersi mantenere in vita, è ora costretto a condurre una diretta guerra civile contro il bolscevismo, sotto il nome di “Trockijsmo”, non solo in URSS, ma anche in Spagna. Il vecchio partito bolscevico e morto, ma il bolscevismo sta alzando la sua testa ovunque.

Dedurre lo stalinismo dal bolscevismo o dal marxismo è la stessa identica cosa che dedurre, in senso più largo, la controrivoluzione dalla rivoluzione. Il modo di pensare liberal-conservatore e dell’ultimo riformismo è stato sempre caratterizzato da tale cliché. A causa della struttura di classe della società, le rivoluzioni hanno sempre prodotto controrivoluzioni. Non indica questo, chiede il logico, che esiste qualche difetto interno nel metodo rivoluzionario? Però, né i liberali né i riformisti sono riusciti, sinora, ad inventare un metodo più “economico”. Ma se non è cosa facile il razionalizzare il processo storico vivente, non è affatto difficile dare un’interpretazione razionale dell’avvicendamento delle sue ondate, è così, per pura logica, dedurre lo stalinismo dal “socialismo di stato”, il fascismo dal marxismo, la reazione dalla rivoluzione o, in una parola, l’antitesi dalla tesi. In questo campo, come in molti altri, il pensiero anarchico è prigioniero del razionalismo liberale. Un pensiero autenticamente rivoluzionario non è possibile senza dialettica.