
Marzo è il mese previsto per il rinnovo delle Commissioni Interne in tutti gli stabilimenti torinesi. La campagna elettorale è intensa e molto partecipata. In un convegno del 7 marzo 1920, l’AMMA (categoria degli industriali metallurgici), per bocca dei suoi principali dirigenti, Olivetti, Agnelli e De Benedetti, proclama la necessità di procedere alla serrata in tutti gli impianti. Il PSI e la CGL dovrebbero impugnare questa situazione e fare leva sulla crescente radicalizzazione che attraversa il proletariato torinese.
Non è così. In realtà, Serrati e D’Aragona (rispettivamente segretari del PSI e della CGL) sono più preoccupati del fenomeno dei Consigli di fabbrica che della minaccia di serrata agli stabilimenti torinesi. E passano il periodo che va da novembre a marzo a polemizzare con la redazione de L’Ordine Nuovo sulla natura dei Consigli.
Per entrambi si tratta di avventurismo. Organismi nelle fabbriche a cui possono accedere tutti i lavoratori, anche quelli non iscritti al sindacato, rischiano di introdurre l’anarchia nel movimento. La Fiom propone che possano accedere ai Consigli solo i tesserati, rendendoli indistinguibili dalle Commissioni interne. Il PSI oppone ai Consigli di fabbrica un “parlamento del lavoro”, nato dalla mentalità riformista dei suoi parlamentari, così lontani dal movimento operaio che dovrebbero rappresentare.
Infine, la redazione diretta da Gramsci deve rispondere anche alle accuse della frazione comunista di Bordiga, che accusa i Consigli di essere organi della mediazione padronale: organismi in cui i lavoratori avrebbero l’illusione di dirigere la fabbrica, e quindi un ostacolo al controllo operaio.
In altre parole, mentre i padroni preparano la serrata la direzione del movimento operaio rimane paralizzata nel discutere come paralizzare il movimento a sua volta. E’ un tradimento incipiente, che gli avvenimenti non faranno altro che rendere palese.
Il 20 marzo l’AMMA proclama la serrata generale in tutti gli stabilimenti torinesi. Arrivano le guardie regie a presidiare i cancelli delle fabbriche. Tra le rivendicazioni padronali spicca anche l’introduzione dell’ora legale, una misura ostile ai lavoratori perché li costringe a uscire dalla fabbrica sempre col buio.
E come spesso succede, la necessità si esprime attraverso il caso. In altri termini, lo scontro frontale col padronato scocca contrio una, ma non la principale, rivendicazione padronale che semplicemente mette in luce tutte le contraddizioni che, fino ad allora, andavano covando sotto la superficie.
Il 22 marzo la Commissione interna in Fiat si oppone all’introduzione dell’ora legale e un operaio porta indietro le lancette dell’orologio dello stabilimento.
Come risposta, Agnelli licenzia tre operai della Commissione interna e dichiara la serrata. L’AMMA si dichiara disponibile a discutere solo con i delegati Fiom e con i capi reparto. In discussione è la legittimità dei Consigli di fabbrica. Il 28 marzo la Commissione Interna della Fiat proclama lo sciopero generale.
A metà aprile l’AMMA si dichiara disponibile a riaprire i cancelli delle fabbriche a patto di abrigare le norme che permettono l’elezione delle Commissioni Interne.
Il 13 aprile la Fiom proclama lo sciopero generale di tutti gli stabilimenti di Torino e l’adesione operaia che raccoglie sfugge subito al controllo della direzione. Nel giro di poche ore scendono in sciopero più di 200mila lavoratori. Meno di 24 ore lo sciopero si estende a tutto il Piemonte, arrivando a coinvolgere 500mila lavoratori. Per la direzione dei Consigli di fabbrica estendere la mobilitazione diventa l’unico modo di reggere uno scontro così frontale.
Il 20-21 aprile il PSI convoca il Consiglio nazionale a Milano, spostandolo da Torino. Serrati è terrorizzato di dover passare dalle parole ai fatti. Bisogna fare come in Russia, ma solo a parole. La paura di riunire l’organismo dirigente nazionale a Torino e rischiare il contagio ideologico dei delegati da parte delle barricate operaie è troppo grande. Viene dato ordine a l’Avanti di censurare i fatti di Torino. Per essere una direzione responsabile bisogna trovare il modo di mettere le cose apposto.
La posizione dei delegati torinesi è che il PSI elabori un programma d’azione. In realtà, la direzione del partito sta già trattando la resa. Il 24 aprile D’Aragona, segretario Cgl, firma un accordo con l’AMMA che rappresenta una frontale sconfitta. Le Commissioni Interne non vengono cancellate ma non possono avere parola sulle decisioni fabbrica. E’ una sconfitta frontale, che Gramsci riconosce.
Gli scritti che vi presentiamo in questo capitolo del nostro percorso di formazione, Per un rinnovamento del Partito Socialista e Superstizione e realtà, sono capitali.
Sono tra i punti più alti dell’analisi marxista che Gramsci fa del Biennio Rosso. Sono la cristallizzazione della sua lotta militante per una direzione rivoluzionaria del movimento operaio italiano. Soprattutto, sono gli scritti che meglio condensano la figura di Gramsci come dirigente della III Internazionale.
Gramsci in questi scritti pone le basi per una lotta di frazione nel PSI a cui arriva troppo tardi. La sua critica del tradimento della direzione operaia è frontale ma si rende conto solo nella sconfittta che non è pregando Serrati di passare all’azione che otterrà un cambio di passo nel PSI. Si rende conto nello scontro nelle strade, nella discussione con i lavoratori che, nel momento dello scontro, i lavoratori non hanno tempo di far proprie conclusioni rivoluzionarie. Essi possono solo lottare fino in fondo, arrivando istintivamente a capire di avere bisogno di un proprio potere.
E’ tuttavia compito della direzione indicare con quali programmi e quali metodi. Programmi e metodi che, a loro volta, sono il prodotto di una riflessione astratta ma la generalizzazione teorica delle sconfitte passate, sempre dal punto di vista della nostra classe.
La classe governa inizialmente attraverso la sua avanguardia. Fornire i quadri del primo governo operaio è il secondo compito del partito. Il primo è quello di dare alla classe una direzione per la conquista del potere. Gramsci lo mette nero su bianco, citando Lenin e indicando esplicitamente il ruolo della III Internazionale e la necessità di combattere il riformismo.
Una situazione che avremmo visto ancora in decenni successivi, nelle lotte operaie della fine degli anni ’60. E che rivedremo ancora nelle prossime stagioni di lotta di classe che si preparano.
Apprenderemo da queste lezioni perché non si ripeta quell’empasse voluto dagli apparati che tradì consapevolmente il movimento e lo portò alla sconfitta.