1.1 La croce, la spada e la fabbrica

Barmen, un piccolo centro industriale che oggi si troverebbe nella Germania settentrionale ma che nel 1820 era ancora parte di uno degli imperi più reazionari del mondo, la Prussia, dà i natali ad Engels il 28 novembre, accolto dalle liturgie di una famiglia cattolica, borghese e imprenditrice.

Retta dalla dinastia militare degli Hoenzollern, la Prussia oggi non esiste più. Nemmeno 50 anni dopo la nascita di Engels, il sovrano Gugliemo I ne avrebbe fatto il trampolino di lancio per l’unificazione della moderna Germania, che prima di allora non era che una somma aritmetica di staterelli dell’impero austro-ungarico. Floride nel mercato e nella produzione, Prussia e Germania accolgono le macchine a vapore di una borghesia in ascesa ma codarda, piena di quattrini ma china al cospetto di una corona che assimila chiesa e stato.

Federico Guglielmo III, che regna sovrano nei primi 20 anni di vita di Engels, lotterà disperato fino alla propria morte per arginare il peso crescente della nascente borghesia nella vita politica del paese.

Engels cresce nel contesto di una severa famiglia religiosa e imprenditoriale. L’industria tessile ha dato fortune alla famiglia, che in breve tempo allarga i propri affari anche a Manchester, in Inghilterra, particolare che pochi anni dopo avrebbe permesso ad Engels di toccare con mano le caratteristiche della classe operaia inglese. In generale, l’infanzia di Engels è quella del figlio di un padrone a stretto contatto con i suoi dipendenti. Fin da bambino non gli è estraneo il contesto operaio, sebbene visto sempre dalla parte del privilegio. La famiglia non è tra le più conservatrici della città ma la crescita del movimento operaio in tutta la Prussia e in Germania cominciano a mostrare, anche nella placida Vestfalia, i primi segni di irrequietezza.

Ma è contro la religione che Engels muove i primi passi della polemica. Scrive una serie di lettere anonime, le Lettere da Wuppental, che circolano negli ambienti liberali della città. Ed è avvolto dai maggiori critici della religione corrente, come Feuerbach, quando ventenne giunge a Berlino per frequentare un anno di servizio militare alla scuola ufficiali, nella primavera del 1841.

Come ricorda il principale biografo di Engels, Gustav Meyer:

“E’ nel regno della realtà che Engels riuscì a ottenere le soddisfazioni spirituali invano cercate nella fede della sua famiglia”[1]

Si può dire che la vita rivoluzionaria di Friedrich Engels cominci qui. In sette anni Engels si trasformerà dal dubbioso, agnostico, critico della religione protestante tedesca a un rivoluzionario bandito in patria, coautore del Manifesto del partito comunista. Dall’estate del 1841, anno in cui per la prima volta mette piede all’Università di Berlino, all’autunno del 1848, anno in cui presenta il Manifesto al secondo congresso della Lega dei comunisti, Engels avrebbe aderito a tre organizzazioni e ribaltato, insieme a Karl Marx, l’impianto filosofico dominante in Europa. E’ chiaro che solo un dibattito eccezionale avrebbe potuto iniziarlo a circostanze eccezionali.

 

1.2 La dialettica della dialettica

Le università della Germania erano state spalancate per Hegel e suoi seguaci durante tutto il regno di Federico Guglielmo III. Non era un atto di generosità gratuito. La dinastia voleva che si insegnasse la dialettica di Hegel perché rinforzasse l’idea di uno stato prussiano naturalmente ideale e congiunto al volere di Dio. Le cose cominciano a cambiare solo nel 1840, quando al terzo succede il quarto Federico Guglielmo, fervente tradizionalista, inorridito dalle possibilità rivoluzionarie che la stessa dialettica hegeliana conferiva a seconda delle interpretazioni.

G.W.F. Hegel

Morto 10 anni prima che Engels arrivi a Berlino, Georg Wilhelm Friedrich Hegel è stato il più importante filosofo degli ultimi due secoli. Sovrano della concezione idealista, le sue opere hanno segnato una cesura netta nei confronti del materialismo illuminista del ‘700, a partire dall’introduzione del concetto di dialettica, cioè l’idea per cui natura e storia si sviluppano attraverso contraddizioni:

“Il bocciolo scompare quando emerge il fiore e potremmo dire che il primo è negato dal secondo; allo stesso modo, quando viene il frutto, il fiore può essere spiegato come una forma falsa dell’esistenza della pianta, poichè il frutto ne appare come l’autentica natura, al posto del fiore. Queste fasi non sono semplicemente differenziate; si soppiantano in quanto incompatibili l’una con l’altra. Ma l’attività incessante della loro propria natura inerente ne fa allo stesso tempo momenti di un’unità organica, in cui non semplicemente si contraddicono, ma in cui l’una è tanto necessaria quanto l’altra; e l’uguale necessità di tutti i momenti costituisce da sola e perciò la vita dell’insieme.”[2]

Dunque gli eventi della storia umana e di quella naturale non si sviluppano come fenomeni isolati sommati aritmeticamente tra loro ma come una concatenazione coerente che, ad ogni tappa successiva, conserva gli elementi della fase precedente necessari allo sviluppo.

Dalla filosofia di Hegel emerge chiaramente l’idea che il pensiero umano possa estrapolare un metodo generale e unico di interpretazione della realtà che scaturisce dalla storia umana e naturale.

Ma questa rivoluzione concettuale, complice anche le difficoltà espressive di questo filosofo, sarebbe stata interpretata in modo duplice. Rivoluzionario il contenuto della sua filosofia, che per la prima volta introduce l’idea che “tutto ciò che nasce è destinato a perire”, ossia che tutto ciò che esiste esiste in virtù delle condizioni storiche che ne hanno permesso l’esistenza; conservatrice la sua interpretazione politica, sostenuta dalla dinastia prussiana, perché la dialettica di Hegel concludeva l’osservazione materiale degli eventi della storia e della natura come riflesso di tipologie astratte e ideali, assolute nel tempo e nello spazio, che permettevano ad esempio alla dinastia degli Hoenzollern di dichiarare lo stato prussiano come ideale perfetto di monarchia.

D’altronde lo stesso Hegel con l’espressione

Tutto ciò che è razionale è reale e tutto ciò che è reale è razionale[3]

permetteva di assecondare l’idea per cui l’esistente era giustificato dai fattori che lo avevano permesso. Se la dinastia di Federico Guglielmo IV era così potente, lo era in virtù della giustificazione di un processo storico: reale perché al potere e razionale perchè storicamente spiegabile.

Sette anni prima di morire (e più di 50 anni dopo la morte di Hegel), Engels sarebbe tornato su questa profonda implicazione del metodo di Hegel spiegando approfonditamente il significato della dialettica:

“Orbene, la realtà, secondo Hegel, non è per niente un attributo che si applichi in tutte le circostante e in tutti i tempi a un determinato stato di cose sociale o politico. Al contrario. La repubblica romana era reale, ma l’Impero romano che lo soppiantò lo era ugualmente. La monarchia francese era diventata nel 1789 così irreale, cioè così priva di ogni necessità, così irrazionale, che dovette essere distrutta dalla Grande Rivoluzione, della quale Hegel parla sempre col più grande entusiasmo. In questo caso dunque la monarchia era l’irreale, la rivoluzione il reale. E così nel corso della evoluzione tutto ciò che prima era reale diventa irreale, perde la propria necessità, il proprio diritto all’esistenza, la propria razionalità; al posto del reale che muore subentra una nuova realtà vitale: in modo pacifico, se ciò che è vecchio è abbastanza intelligente da andarsene senza opporre resistenza alla morte; in modo violento, se esso si oppone a questa necessità. E così la tesi di Hegel si trasforma, secondo la stessa dialettica hegeliana, nel suo contrario: tutto ciò che è reale nell’ambito della storia umana diventa col tempo irrazionale, è dunque già irrazionale per proprio destino, è sin dall’inizio affetto da irrazionalità; e tutto ciò che vi è di razionale nelle teste degli uomini è destinato a diventare reale, per quanto possa contraddire all’apparente realtà del giorno. La tesi della razionalità di tutto il reale si risolve quindi secondo tutte le regole del ragionamento hegeliano nell’altra: tutto ciò che esiste è degno di perire.”[4]

Bruno Bauer

E’ facile comprendere come una tale forzatura spacchi in due la giovane generazione di intellettuali hegeliani con sorprendente facilità. Precisamente questa frattura spinge un gruppo di giovani radicali a fondare i Giovani Hegeliani, una corrente di sinistra maturata nella scuola hegeliana volta a valorizzare gli aspetti rivoluzionari della dialettica di Hegel e a frenare le forzature conservatrici del suo pensiero. Intellettuali come Bruno ed Edgar Bauer, Max Stirner e Ludwig Feuerbach fondarono quella corrente di pensiero a cui avrebbe presto aderito anche Engels e contro cui avrebbe maturato un colossale rivolgimento sia materialistico che dialettico.

E’ per contrastare questa influenza che Federico Guglielmo IV scaccia Bruno Bauer dalla cattedra di Bohn e affida la cattedra di Berlino all’idealista conservatore Friedrich Schelling. Servivano figure che sapessero consolidare la giustificazione storica e religiosa della dinastia prussiana in un continente che, dalla caduta di Napoleone, andava rapidamente incontro a rivolgimenti rivoluzionari. Nè il sovrano nè i Giovani hegeliani avrebbero dovuto attendere molto. E non si tratterà di una rivoluzione dello spirito.

 

1.3 Qualcosa si rompe

L’adesione ai Giovani Hegeliani catapulta Engels in un dibattito tra filosofia e politica. Si avvicina a Feuerbach, che concentra molti dei suoi sforzi sull’essenza della religione e sul suo ruolo di legittimazione dello stato prussiano. Non rimane che l’essenza dell’umanità, se la religione è solo una proiezione dei nostri desideri e lo stato prussiano, lungi da essere un modello ideale, è destinato a crollare come tutti i fenomeni interpretabili alla luce della dialettica.

L’umanità, un termine generico che ad Engels comincia ad andare stretto quando comincia a discutere con un membro dei Giovani Hegeliani che sembra avere idee ancora più radicali di Feuerbach, Moses Hess. Se il primo indicava nell’abbandono di tutte le filosofie la strada che porta all’azione, Hess rimane un mistico che profetizza il destino messianico della specie umana.

Moses Hess

Nel comunismo primitivo e messianico di Hess infatti c’è l’idea che la specie umana, così diversa dal resto del regno animale, sia destinata a costruire il paradiso sulla Terra. E’ un attributo dell’umanità intera, senza alcuna distinzione economica e sociale. E’ principalmente questo che comincia a stonare nelle riflessioni di Engels. Se Hess introduce il movimento alla sociologia, riducendo la patina di astrattezza data dal dibattito filosofico, l’esperienza concreta della vita di Engels nelle fabbriche del padre è troppo concreta per non vedere la differenza tra padroni e lavoratori.

Se Hegel aveva ragione, anche questo rapporto tra padroni e lavoratori sarebbe giustificato dalle condizioni storiche che ne hanno permesso l’instaurazione. Eppure, sempre se ha ragione, anche questo rapporto sarebbe destinato a declinare e non certo per una nuova forma di vassallaggio medievale che la storia ha già superato.

Questa è la contraddizione centrale che occupa la mente di Engels durante il suo anno a Berlino. Non si trattava solo di preservare il lato storico e progressista della dialettica di Hegel, proteggendolo dalle grinfie dello stato prussiano; si tratta di capire se questa dialettica sia chiusa, in un circolo che porta l’uomo sempre a un ideale di umanità e il seme di una pianta sempre a un ideale di pianta o se, invece, questa dialettica non abbia uno sviluppo predefinito ma solo binari dati dalle condizioni che preserva.

E’ mai possibile che le condizioni in cui viviamo condizionino lo sviluppo della storia? Che essa non sia già scritta per quanto, come aveva sottolineato Hegel, in continuo sviluppo? E’ possibile, sì. Ma per poterlo vedere, Engels doveva sbattere il muso contro la classe operaia.

Una rivelazione che sarà inavvertitamente resa possibile dal padre, che gli chiede di viaggiare fino in Inghilterra per curare gli affari della filiale inglese di famiglia, umoristico tentativo di allontanarlo dalle idee socialiste verso cui Engels si ritroverà ancor più catapultato.

 

Note:

[1] G. Mayer, Friedrich Engels, Einaudi editore

[2] F. G. W. Hegel, Fenomenologia dello spirito

[3] G. F. W. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto

[4] F. Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia tedesca