10.1 L’ultima battaglia
Gli ultimi anni della vita di Friedrich Engels sono quasi tutti di corrispondenza. Il Generale è considerato una sorta di consulente del movimento operaio europeo. Kautsky, Bebel, Liebknecht, Bernstein dalla Germania, Antonio Labriola e Filippo Turati dall’Italia, Viktor Adler dall’Austria, perfino Vera Zasulich dalla Russia gli scrivono o si recano a Londra per discutere con lui almeno una volta. D’altronde una volta portato a termine il colossale lavoro di pubblicazione del secondo e del terzo libro de Il Capitale, a Engels rimane spazio per godere della crescita della socialdemocrazia tedesca, attorno a cui ruota lo sviluppo della II Internazionale.

Fondata il 14 luglio del 1889, la II Internazionale è ben diversa dall’Associazione Internazionale dei lavoratori. Lo sviluppo del movimento operaio in tutta Europa è stato il presupposto per la nascita di partiti socialdemocratici in quasi tutti i paesi d’Europa. Tra questi spicca quello tedesco, leader dell’Internazionale, con i suoi quadri teorici, i suoi giornali e la sua forte crescita istituzionale. La II Internazionale è figlia di una poderosa crescita del capitalismo, investito dal suo ultimo ciclo di crescita prima della I guerra mondiale.
La crescita sembra inarrestabile e inevitabilmente finisce con imprimere una pressione sul gruppo dirigente dell’Internazionale. L’esposizione istituzionale in Germania rischia di crescere e lo scontro con Bismarck si fa severo. Proprio spaventato da questa crescita, Bismarck apre alla necessità di abolire il suffragio universale. Nel movimento socialdemocratico si apre un dibattito sull’utilizzo dei diritti democratici strappati alla società borghese.
Engels entra in questo dibattito per l’ultima volta nella sua vita. Coglie l’occasione della ristampa del libro che Marx scrisse a commento della rivoluzione in Francia dal 1848 al 1850, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850. Così nel 1895, pochi mesi prima di morire, Engels scrive una nuova introduzione che rappresenta l’ultimo lavoro teorico compiuto dal rivoluzionario tedesco.
Sono qui raccolte tutte le riflessioni che Engels ha maturato da una esperienza cinquantennale nel movimento. Il nucleo del testo è che il partito socialdemocratico tedesco debba approfittare di ogni spazio lasciato dalle istituzioni tedesche continuando allo stesso tempo a costruire l’organizzazione per quando verrà il momento dell’offensiva su strada. Questo perché lo sviluppo della tecnologia militare ha reso impossibile un’offensiva per barricate, in un singolo attacco, come quello della rivoluzione del 1848. L’esercito va conquistato con la propaganda: deve sfaldarsi prima che entri in contatto con le masse insorte.
E’ un testo di grande insegnamento, che verrà applicato magistralmente dal Partito Bolscevico del 1917. Engels lo apre con una considerazione sul metodo materialista:
“Il metodo materialista dovrà perciò limitarsi anche troppo spesso a ricondurre i conflitti politici a lotte di interessi delle classi sociali e delle frazioni di classe preesistenti, determinate dall’evoluzione economica, e a ravvisare nei singoli partiti politici l’espressione politica più o meno adeguata di queste stesse classi o frazioni di classe. […] E nonostante queste circostanze sfavorevoli, l’esatta conoscenza tanto della situazione economica della Francia prima della rivoluzione di febbraio, quanto della storia politica di questo paese dopo questa rivoluzione, gli permisero di dare una esposizione degli avvenimenti che rivela la loro intima connessione con una perfezione che non fu più raggiunta in seguito, e che resistette brillantemente alla duplice prova cui la sottopose in seguito lo stesso Marx.” 1
Ha poi modo anche di ritornare sugli errori di prospettiva fatti da lui e da Marx dopo la rivoluzione del 1848:
“Dopo la sconfitta del 1849 non condividemmo in nessun modo le illusioni della democrazia volgare raccolta attorno ai governi provvisori futuri in partibus. Questa contava su una vittoria rapida, decisiva una volta per tutte, del ‘popolo’ sugli ‘oppressori’; noi su una lotta lunga, dopo l’eliminazione degli ‘oppressori’, tra gli elementi contraddittori che si celavano precisamente in questo ‘popolo’.
La democrazia volgare aspettava la nuova esplosione dall’oggi al domani; noi dichiaravamo già nell’autunno 1850 che almeno il primo capitolo del periodo rivoluzionario era chiuso e che non vi era da aspettarsi nulla sino allo scoppio di una nuova crisi economica mondiale. […] La storia ha dato torto a noi e a quelli che pensavano in modo analogo.
Essa ha mostrato chiaramente che lo stato dell’evoluzione economica sul continente era allora ancor lungi dall’esser maturo per l’eliminazione della produzione capitalistica; essa lo ha provato con la rivoluzione economica che dopo il 1848 ha guadagnato tutto il continente e ha veramente installato la grande industria in Francia, in Austria, in Ungheria, in Polonia e da ultimo anche in Russia; che ha veramente fatto della Germania un paese industriale di prim’ordine: tutto ciò sulla base capitalistica, capace quindi ancora nel 1848 di ben grande espansione.”

Il rivoluzionario è estremamente esplicito sull’utilizzo delle istituzioni borghesi per costruire il movimento:
“Già il Manifesto comunista aveva proclamato la conquista del suffragio universale, della democrazia, come uno dei primi e più importanti compiti del proletariato militante, e Lassalle aveva ripreso questo punto. Quando poi Bismarck si vide costretto a introdurre questo diritto di voto come un unico mezzo per interessare le masse popolari ai suoi piani, i nostri operai immediatamente presero la cosa sul serio e inviarono Auguste Bebel nel primo Reichstag costituente.
E dal quel giorno essi hanno utilizzato il diritto di voto in un modo che ha recato loro vantaggi infiniti e che è servito da esempio agli operai di tutti i paesi […] trasformato da strumento d’inganno, quale è stato sino ad ora, a strumento di emancipazione.”
E’ importante leggere questo testo nella cornice di enorme crescita istituzionale del partito socialdemocratico tedesco. Se Engels pensa che il lavoro su strada e quello nelle istituzioni debbano controllarsi dialetticamente, a dirigenti come Bernstein non sembra vero di poter avere l’apparente copertura di Engels alle proprie inclinazioni più istituzionaliste:
“Si trovò che le istituzioni dello Stato, in cui si organizza il dominio della borghesia, offrono ancora altri appigli a mezzo dei quali la classe operaia può combattere queste stesse istituzioni statali. Si partecipò alle elezioni delle differenti Diete, dei Consigli comunali, dei probiviri; si contese alla borghesia ogni posto alla conquista del quale potesse partecipare una parte sufficiente del proletariato. E così accadde che la borghesia e il governo arrivarono a temere molto più l’azione legale che l’azione illegale del partito operaio, più le vittorie elettorali che quelle della ribellione.”
Ma Engels non ha cambiato opinione. La sua analisi è sempre volta alla presa del potere, come spiega quando analizza i cambiamenti militari nell’insurrezione:
“Anche qui infatti le condizioni della lotta avevano subito un mutamento sostanziale. La ribellione di vecchio stile, la lotta di strada con le barricate, che sino al 1848 erano state l’elemento decisivo in ultima istanza, erano considerevolmente invecchiate. Non facciamoci illusioni: una vera vittoria della insurrezione sull’esercito nella lotta di strada, una vittoria come tra due eserciti, è una delle cose più rare.
Gli insorti stessi del resto ben di rado avevano contato su di essa. Si trattava per essi soltanto di paralizzare le truppe con influenze morali, che nella lotta tra gli eserciti di due paesi belligeranti non entrano affatto in gioco o vi entrano in misura molto piccola. Se la cosa riesce, la truppa rifiuta di marciare, oppure il comando perde la testa, e l’insurrezione è vittoriosa. Se la cosa non riesce, anche se l’esercito è inferiore come numero, si impone la superiorità derivante dal migliore armamento e dalla migliore istruzione militare, dalla unità di comando, dall’impiego razionale delle forze combattenti e dalla disciplina.”
Eppure Engels non crede ai propri occhi quando legge sul Vorwärts, il giornale del partito, la propria introduzione mutilata di alcuni passaggi fondamentali. Il testo consegnato nelle mani degli operai socialdemocratici dalla redazione presenta un Engels istituzionale, che offre una copertura teorica all’obiettivo istituzionale del partito come unico fine. E’ emblematico il carattere dei passaggi tagliati, come questo sull’offensiva di strada:
“[Vuol dire ciò che nell’avvenire la lotta di strada non avrà più nessuna funzione? Assolutamente no. Vuol dire soltanto che dal 1848 le condizioni sono diventate molto più sfavorevoli ai combattenti civili, e molto più favorevoli all’esercito. Una futura lotta di strada potrà dunque essere vittoriosa soltanto se questa situazione sfavorevole verrà compensata da altri fattori. Essa si produrrà perciò più raramente all’inizio di una grande rivoluzione che nel corso ulteriore di essa, e dovrà essere impegnata con forze molto più grandi. Ma allora queste, com’è avvenuto nel corso della grande rivoluzione francese. e poi il 4 settembre e il 31 ottobre a Parigi, preferiranno l’attacco aperto alla tattica passiva delle barricate.]”
E uno dei paragrafi finali acquista un significato completamente diverso, più docile e mansueto nei confronti delle istituzioni se privato del passaggio censurato tra le parentesi quadre:
“Avanzando di questo passo, per la fine del secolo avremo conquistato la maggior parte dei ceti medi della società, dei piccoli borghesi come dei piccoli contadini, e saremo diventati nel paese la forza decisiva, alla quale tutte le altre dovranno inchinarsi, lo vogliano o non lo vogliano. Mantenere ininterrotto il ritmo di questo aumento, sino a che esso sopraffaccia da sé l’attuale sistema di governo [non consumare in combattimenti d’avanguardia questo gruppo d’assalto che si rafforza di giorno in giorno, ma conservarlo intatto sino al giorno decisivo], tale è il nostro compito fondamentale.”

Engels è sbalordito e scrive immediatamente a Kautsky, il 1 aprile 1895, perché pubblichi la sua introduzione completa su Die Neue Zeit, la rivista teorica del partito:
“Con mia grande sorpresa trovo oggi nel Vorwӓrts un estratto della mia Introduzione, pubblicato senza che io lo sapessi e così sconciato che io vi appaio come un pacifico fautore della legalità quand meme (a tutti i costi). Tanto più che vorrei che la Introduzione apparisse integra in Die Neue Zeit perché venisse distrutta questa vergognosa impressione. Dirò molto chiaramente ciò che penso a questo proposito a Liebknecht e anche a coloro, chiunque essi siano, che gli hanno offerto questa possibilità di deformare il mio pensiero.”2
Due giorni dopo, il 3 aprile, Engels si sfoga con Lafargue lasciando anonimo un redattore del Vorwärts:
“X mi ha fatto un brutto scherzo. Dalla mia Introduzione agli articoli di Marx sulla Francia del 1848-50 egli ha estratto tutto ciò che poteva servirgli in difesa della tattica ad ogni costo pacifica e contraria alla violenza, che gli fa comodo predicare da un po’ di tempo, soprattutto ora che a Berlino si preparano le leggi eccezionali. Ma io raccomando questa tattica solo per la Germania d’oggi e anche qui con riserve di carattere essenziale. In Francia, Belgio, Italia e Austria non è possibile seguire questa tattica nella sua interezza e in Germania può diventare inadatta domani.” 3
Kautsky riceverà la lettera di Engels ma non risponderà mai. Due settimane dopo il Die Neue Zeit pubblicherà l’Introduzione nella stessa versione censurata. Per la direzione del partito questa è la migliore versione del testo di Engels data la minaccia della censura e di nuove leggi antisocialiste.
Ma d’altronde Engels, il Generale, il più stretto collaboratore di Karl Marx, dalla sua morte principale teorico marxista vivente, fondatore del movimento comunista è, per la direzione del partito, una figura da omaggiare, non un dirigente effettivo. Ed Engels stesso vede in quest’ultima esperienza una lezione che ha provato sulla propria pelle per tutta la vita: anche le polemiche teoriche, alla fine, si riducono a una questione di rapporti di forza.
10.2 Una vita al proprio posto
Engels muore il 5 agosto 1895, pochi mesi dopo queste vicende.
Lavorerà ai suoi scritti fino a due mesi prima della morte, ignaro della diagnosi di cancro all’esofago che era stata rivelata soltanto al socialista austriaco Victor Adler, l’ultimo dirigente a fargli visita a Londra da vivo. Ancora nelle sue ultime lettere, scritte a giugno, Engels si rammarica di dover fermare momentaneamente il proprio lavoro.
La vita di un rivoluzionario come Engels non è certo riassunta dalla sua morte, ma dalla mole colossale di contributi e azioni fatti nel nome dell’emancipazione della classe operaia per tutta la vita. Dal ragazzo che lascia Barmen per Berlino all’inizio degli anni ‘40 dell’800 c’è ora il dirigente rivoluzionario segnato da una rivoluzione, da anni di polemiche in minoranza, dal primo eroico tentativo di costruire e dirigere un’internazionale operaia.

Engels è rimasto al proprio posto fino alla fine. Contrariamente a un’idea superficialmente romantica del rivoluzionario, Engels ha sempre compreso anno dopo anno, decennio dopo decennio quale dovesse essere il suo compito per far progredire la causa proletaria. Ha lottato per il socialismo per tutta la vita, a volte con la penna, a volte col fucile, a volte in totale e sconfortante minoranza, a volte alla testa di un esercito di coraggiosi rivoluzionari. E’ probabilmente questo il significato dell’espressione “stare in prima linea”: capire di volta in volta quale posto occupare in questa gigantesca battaglia.
Il Generale ha dedicato gli ultimi 20 anni della sua vita al senso di responsabilità teorica nei confronti dell’amico Karl Marx e del movimento comunista. In lui non c’è traccia di rimpianto, ma sempre la disponibilità a mutare il proprio ruolo se necessario.
Una vita così non può essere chiusa da ultime parole.
Pensiamo che il miglior commiato per ricordare questa titanica figura sia nelle parole scritte in questa lettera del 1882, quasi 15 anni prima di morire. Un autentico attestato di responsabilità verso il movimento, che ci dice quanto il senso del dovere sia nulla senza comprensione:
“E adesso ho ormai sessantadue anni, con davanti quel tanto di lavoro che posso fare, la prospettiva di un anno di lavoro per completare il secondo volume de Il Capitale, e di un altro anno per stendere una biografia di Marx, una storia del movimento socialista tedesco da 1843 al 1863 e una storia dell’Internazionale dal 1864 al 1872: sarei veramente pazzo a rinunciare al mio tranquillo rifugio in questa terra, per altri luoghi dove dovrei assistere a comizi, occuparmi delle polemiche nei giornali, turbando magari la mia chiara visione delle cose. Se ci fossero le condizioni del 1848 e del 1849, salterei a cavallo ancora una volta, sempre che mi venisse richiesto. Ma, come stanno le cose…mi trovo davanti ad un programma intenso di lavoro: dovrò anzi ridurre al minimo la mia collaborazione al ‘Sozialdemokrat’. Pensate soltanto a tutta la corrispondenza che dividevo una volta con Marx e che adesso invece, già da un anno, devo sbrigare da solo. Voglio, per quanto possibile, in futuro, mantenere intatti i legami che da ogni parte del mondo facevano capo allo studio di Marx.” 4
Note:
1 F. Engels, Introduzione a Le lotte di classe in Francia 1848-1850 – e successive citazioni
2 F. Engels a K. Kautsky, 1 aprile 1895
3 F. Engels a P. Lafargue, 3 aprile 1895
4 F. Engels, citato in G. Mayer