L’uscita del libro è stata accompagnata da un’intervista rilasciata dall’autore per il “Venerdì” di Repubblica, di cui Mauro è stato direttore dal 1996 al 2016. La tesi principale del libro è che le divisioni all’interno del PSI favorirono l’ascesa del fascismo:

“La cosa sorprendente è che il congresso sembra ipnotizzato da se stesso, incapace di capire ciò che accade nel Paese: lo squadrismo fascista è già molto attivo ed è singolare che rimbalzi pochissimo dentro il teatro. Nel profluvio di parole che i congressisti si scagliano addosso, il concetto di libertà non appare quasi mai. In pochi avvertono il pericolo fascista che avanza.”1

Già dal titolo del libro si capisce però che Mauro non è indifferente alle opzioni in campo. Lo esplicita fin dalle prime pagine:

“Proprio per questo senso storico della rottura, ai margini del fascismo incombente, il racconto si ferma qui, a Livorno. Altre dannazioni seguiranno, come sappiamo, nei cent’anni. Ma le occasioni perdute pesano, l’irrisolto permane come una colpa, anche quando svaniscono gli errori e scompaiono i loro protagonisti. Un secolo dopo, quella italiana è una sinistra senza nome, perchè i due nomi che l’hanno definita in una storia centenaria sono durati uno troppo a lungo (comunismo: finito solo un minuto dopo la caduta del Muro, e non prima, quindi per decisione altrui e con tutte le macerie che inevitabilmente gli sono rovinate addosso perchè è mancato il rendiconto) e l’altro troppo poco (socialismo: suicidatosi in una pratica politica finita nella rete di Tangentopoli, e prima inceppata nel supporto antagonista e supplente alla DC).”2

E’ un concetto che riprende anche successivamente, sottolineando che la mancanza di sintesi tra le varie posizioni (l’accusa è rivolta a massimalisti e comunisti), è il sintomo di un partito impegnato in un dibattito tutto interno, e per questo alieno dalla realtà:

“Sembra impossibile ma il mondo socialista e comunista non capisce la portata della sfida fascista. La Cgdl ripete che la reazione non fermerà il cammino della classe operaia, Togliatti pensa ancora che il fascismo possa ‘essere sbaragliato’, Bordiga teorizza addirittura che fascismo e governo borghese sono la stessa cosa, anzi ‘fascisti e socialdemocratici sono due aspetti dello stesso nemico di domani’, Serrati continua a ripetere ‘noi sappiamo che vinceremo, conosciamo la meta che dobbiamo necessariamente raggiungere, valutiamo i pericoli per strada, calcoliamo le soste forzate e anche gli arretramenti’. Nessuno pensa a un modo per fermare lo squadrismo.

[…]

Ma il PSI continua a guardare fisso un punto indistinto del futuro in cui scoppierà una rivoluzione che non prepara, non organizza ma continua a evocare e a promettere alle masse: e nello stesso tempo è ipnotizzato da se stesso, dalle divisioni interne, dall’ipoteca sovietica sulle sue decisioni e sul suo futuro, dalla scissione che il 1920 prepara e rende ogni giorno più inevitabile.”3

La posizione di Mauro non è per nulla sorprendente, né deve stupire il suo intuibile appoggio alla corrente riformista di Filippo Turati. Mauro attribuisce la sconfitta del movimento operaio principalmente alla scissione organizzata da Gramsci e Bordiga (con l’apporto fondamentale di Mosca) così come, in qualità di direttore di Repubblica, sostenne che il centrosinistra di Prodi prima e del PD poi erano l’unico strumento in grado di contrastare la destra berlusconiana.

L’autore sostiene che socialisti e comunisti si accorgeranno del pericolo fascista soltanto a scissione avvenuta. Non è così.

Antonio Gramsci

 Già nel maggio del 1920 Gramsci, in quell’anno ancora militante socialista, criticava i tentennamenti del PSI di fronte alle lotte del movimento operaio:

“Gli industriali e i terrieri hanno realizzato il massimo concentramento della disciplina e della potenza di classe: una parola d’ordine lanciata dalla Confederazione Generale dell’Industria italiana trova immediata attuazione in ogni singola fabbrica. Lo Stato borghese ha creato un corpo armato mercenario predisposto a funzionare da strumento esecutivo della volontà di questa nuova organizzazione della classe proprietaria che tende, attraverso la serrata applicata su vasta scala e il terrorismo, a restaurare il suo potere sui mezzi di produzione, costringendo gli operai e i contadini a lasciarsi espropriare di una moltiplicata quantità di lavoro non pagato. La serrata ultima negli stabilimenti metallurgici torinesi è stato un episodio di questa volontà degli industriali di mettere il tallone sulla nuca della classe operaia: gli industriali hanno approfittato della mancanza di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria nelle forze operaie italiane per tentare di spezzare la compagine del proletariato torinese e annientare nella coscienza degli operai il prestigio e l’autorità delle istituzioni di fabbrica (Consigli e commissari di reparto) che avevano iniziato la lotta per il controllo operaio.

Il prolungarsi degli scioperi agricoli nel Novarese e in Lomellina dimostra come i proprietari terrieri siano disposti ad annientare la produzione per ridurre alla disperazione e alla fame il proletariato agricolo e soggiogarlo implacabilmente alle più dure e umilianti condizioni di lavoro e di esistenza.

La fase attuale della lotta di classe in Italia è la fase che precede: o la conquista del potere politico da parte del proletariato rivoluzionario per il passaggio a nuovi modi di produzione e di distribuzione che permettano una ripresa della produttività; o una tremenda reazione da parte della classe proprietaria e della casta governativa. Nessuna violenza sarà trascurata per soggiogare il proletariato industriale e agricolo a un lavoro servile: si cercherà di spezzare inesorabilmente gli organismi di lotta politica della classe operaia (Partito socialista) e di incorporare gli organismi di resistenza economica (i sindacati e le cooperative) negli ingranaggi dello Stato borghese.

Le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell’attuale periodo, e di non comprendere nulla della missione che incombe agli organismi di lotta del proletariato rivoluzionario.

Il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai una opinione sua da esprimere, che sia in dipendenza delle tesi rivoluzionarie del marxismo e della Internazionale comunista, non lancia parole d’ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l’azione rivoluzionaria.

Il Partito socialista, come organizzazione politica della parte d’avanguardia della classe operaia, dovrebbe sviluppare un’azione d’insieme atta a porre tutta la classe operaia in grado di vincere la rivoluzione e di vincere in modo duraturo. Il Partito socialista, essendo costituito da quella parte di classe proletaria che non si è lasciata avvilire e prostrare dall’oppressione fisica e spirituale del sistema capitalistico, ma è riuscita a salvare la propria autonomia e lo spirito di iniziativa cosciente e disciplinata, dovrebbe incarnare la vigile coscienza rivoluzionaria di tutta la classe sfruttata.

Il suo compito è quello di accentrare in sé l’attenzione di tutta la massa, di ottenere che le sue direttive diventino le direttive di tutta la massa, di conquistare la fiducia permanente di tutta la massa in modo di diventarne la guida e la testa pensante. Perciò è necessario che il Partito viva sempre immerso nella realtà effettiva della lotta di classe combattuta dal proletariato industriale e agricolo, che ne sappia comprendere le diverse fasi, i diversi episodi, le molteplici manifestazioni, per trarre l’unità dalla diversità molteplice, per essere in grado di dare una direttiva reale all’insieme dei movimenti e infondere la persuasione nelle folle che un ordine è imminente nello spaventoso attuale disordine, un ordine che, sistemandosi, rigenererà la società degli uomini e renderà lo strumento di lavoro idoneo a soddisfare le esigenze della vita elementare e del progresso civile.

Il Partito socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna, un mero partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese, che si preoccupa solo delle superficiali affermazioni politiche della casta governativa; esso non ha acquistato una sua figura autonoma di partito caratteristico del proletariato rivoluzionario e solo del proletariato rivoluzionario.” 4

Gramsci sottolinea qui come una eventuale sconfitta del movimento operaio aprirebbe la strada alla più feroce reazione padronale. Vi è inoltre una accusa pesante al gruppo dirigente del PSI, ritenuto totalmente inadeguato a fronteggiare la situazione rivoluzionaria, poiché ancora imbevuto di parlamentarismo. Gramsci ribalta il ragionamento dei riformisti dell’epoca, per i quali simpatizza Ezio Mauro. Se l’obiettivo finale deve essere il socialismo, non bisogna avere paura di andare fino in fondo.

Le istituzioni operaie, nate sull’esempio dei soviet russi, e di cui Gramsci intuisce il potenziale rivoluzionario (approfondiremo meglio la questione nei prossimi paragrafi), rappresentano l’embrione di una nuova società. Sono la messa in discussione, in ultima analisi, dell’idea di una società basata sul profitto, come era quella capitalista.

D’altro canto i fascisti sono l’espressione di un sistema economico in crisi. Il tentativo feroce di difendere il profitto degli industriali e dei proprietari terrieri. E il modo migliore per mettere in discussione le disuguaglianze prodotte dal capitalismo era lottare per abbatterlo.

Avanti!

Nell’ottobre del 1920, sull’edizione piemontese dell’ “Avanti” scrive invece:

“Il fenomeno del «fascismo» non è solo italiano, cosí come non è solo italiano il formarsi del partito comunista. Il «fascismo» è la fase preparatoria della restaurazione dello Stato, cioè di un rincrudimento della reazione capitalistica, di un inasprimento della lotta capitalistica contro le esigenze piú vitali della classe proletaria. Il fascismo è l’illegalità della violenza capitalistica: la restaurazione dello Stato è la legalizzazione di questa violenza: è nota legge storica che il costume precede il giure. Il fascismo italiano ha incendiato l’Avanti! di Milano e di Roma, ha incendiato il Proletario di Pola e il Lavoratore di Trieste e nessun fascista è stato punito: lo Stato restaurato non incendierà piú, sopprimerà «legalmente».

Il fascismo ha assaltato Camere del lavoro e municipi socialisti: lo Stato restaurato scioglierà «legalmente» le Camere del lavoro e i municipi che vorranno rimanere socialisti. Il fascismo assassina i militanti della classe operaia: lo Stato restaurato li manderà «legalmente» in galera e, restaurata anche la pena di morte, li farà «legalmente» uccidere da un nuovo funzionario governativo: il carnefice. Questo sviluppo è universale, si è verificato già in parte e continuerà a svilupparsi normalmente anche in Italia.”5

Se i massimalisti hanno la colpa di non preparare la rivoluzione, limitandosi a lanciare proclami, sono i riformisti a cercare un compromesso, dopo aver boicottato la rivoluzione:

“Ma Turati invita tutti i socialisti a non raccogliere provocazioni, non fornire pretesti, non rispondere alle ingiurie: ‘Siate buoni, siate pazienti, siate santi. Tollerate. Compatite. Perdonate, anche. Quanto meno mediterete vendetta, tanto più sarete vendicati. La violenza non è forza, ma è la sua negazione. Il socialismo ha questo di grande, di essere la negazione assoluta della violenza. Oggi ancora è la guerra che perdura, e tutte le guerre hanno lasciato simili strascichi: ma voi siete la vittoria certa, siete il domani. Il fascismo non è che un fatale e transitorio fenomeno del dopoguerra’.”6

Sono parole che Turati scrive nel maggio 1921 sull’ “Avanti!”, pochi mesi prima del patto di pacificazione tra socialisti e fascisti, che sarebbe stato proclamato nell’agosto 1921. Una pacificazione che non avrebbe però impedito la marcia su Roma nell’ottobre del 1922 e l’ascesa al potere di Mussolini. Bastano queste righe per stabilire le pesanti responsabilità dei riformisti nella vittoria del fascismo.

Crediamo siano sufficienti per ribaltare le tesi di Ezio Mauro.

Per capire invece il processo che porta alla nascita del Pcd’I, è necessario fare un passo indietro di qualche anno e tornare all’evento epocale del 1917: la Rivoluzione d’Ottobre.

 

Note:

1 “Chiedimi chi erano i comunisti” intervista di Simonetta Fiori a Ezio Mauro, “Il Venerdì di Repubblica” 20/11/2020

2 Ezio Mauro “La dannazione – 1921. La sinistra divisa all’alba del fascismo” ed. Feltrinelli, pag. 15

3 Ezio Mauro op.cit., pagg. 165 – 166

6 Ezio Mauro, op.cit., pag. 168