Nei testi che presentiamo vogliamo sottolineare alcuni aspetti della ricchezza di Lenin riguardo il tema del controllo operaio. Ma per capire il senso delle sue parole è necessario fare un rapido schizzo delle condizioni storiche in cui emersero questi testi. Il primo è la bozza che Lenin presentò al Consiglio dei commissari del popolo (questo era il nome del primo governo soviettista). Si era nei giorni immediatamente successivi alla rivoluzione di Ottobre, che con i suoi primi decreti creò una rottura epocale non solo nel movimento operaio e socialista, che fin dai tempi di Marx ed Engels aveva visto le correnti riformiste maggioritarie, ma nella storia delle rivoluzioni.
Si proclamava tutto il potere dei consigli di operai, contadini e soldati, si stabiliva la volontà immediata di porre fine alla sanguinosa guerra mondiale, senza annessioni o indennizzi, si assegnava a milioni di contadini, schiavi da secoli, la terra di cui avevano bisogno senza che alcuno profittasse del loro lavoro e tra le altre cose si stabilì il controllo operaio su importanti settori dell’economia. Il pensiero socialista al riguardo ha una lunghissima e ricchissima storia. Lenin era tra quelli convinti che le cooperative e le associazioni operaie di consumo fossero utili per insegnare ai lavoratori la gestione delle unità produttive, dei suoi processi, ma non di più.
Chi, come i socialisti utopisti alla Owen, Fourier o i mutualisti di ogni colore[1], pensava che creando delle isole felici, o degli “spazi liberati” come si direbbe oggi, si potesse fare un passo avanti verso il socialismo, si sbagliava di grosso. Per Lenin la priorità è stata costruire sempre e comunque, sotto qualsiasi condizione o fase storica, gli strumenti per prendere il potere politico. Già nei dibattiti nella seconda internazionale Lenin stigmatizzava quei valorosi e bravi compagni che sottraevano le loro preziose energie alla conquista del potere:
“Le cooperative di consumo sono dunque un frammento di socialismo. Il processo dialettico di sviluppo immette già ora effettivamente nella società, pur nei limiti del capitalismo, elementi della nuova società, i suoi elementi materiali e spirituali. Ma i socialisti devono saper distinguere i frammenti dal tutto, devono porsi come parola d’ordine il tutto, e non il frammento, devono contrapporre le condizioni fondamentali per un ‘effettiva rivoluzione a quei rattoppi parziali che spesso fanno abbandonare ai combattenti la strada veramente rivoluzionaria.”[2]
Il controllo operaio perciò, in qualsiasi sua forma, non è un feticcio buono per tutte le occasioni per risolvere i problemi della lotta di classe, ma un aspetto importante di questa. Subito dopo la rivoluzione d’ottobre, nel novembre del 1917, gli operai, che già da mesi avevano creato centinaia di consigli e comitati di fabbrica, si lanciarono con sempre maggiore determinazione nella contestazione dei ruoli dirigenti di imprenditori e capitalisti, forti della propaganda bolscevica e dei decreti del governo.
In questa fase iniziale però la rivoluzione non era ad un livello tale di organizzazione e consapevolezza della classe lavoratrice per poter imporre una socializzazione immediata e una pianificazione totale dell’economia. Gli stessi decreti di nazionalizzazione furono emessi su fabbriche o aziende già espropriate di fatto dagli operai o da cui era fuggito il capitalista. Le prime fasi del controllo operaio perciò erano in generale un controllo sui bilanci, la corrispondenza, i livelli produttivi e i prezzi, non una gestione completamente subordinata alle decisioni degli operai o delle loro istituzioni.
Era un controllo, come Lenin andava chiedendo da mesi (anche ai congressi dei consigli operai), che permettesse alla classe operaia di evitare la catastrofe economica e la carestia a causa del boicottaggio da parte della borghesia.[3] La bozza di Lenin che di seguito pubblichiamo è molto chiara al riguardo e contiene in sé anche la necessità di preservare una certa coerenza del sistema economico anche contro la disorganizzazione e il caos inevitabili in una rivoluzione, che porta improvvisamente milioni di persone ad avere direttamente potere sui processi economici.
Il controllo operaio serviva a spezzare la resistenza dei capitalisti all’interno delle aziende, degli uffici, delle banche, come il potere dei soviet aveva spezzato quello della macchina statale zarista che veniva mantenuto in vita dai governi provvisori precedenti. Solo con l’inizio della guerra civile, della ribellione delle truppe ex zariste foraggiate dalle potenze straniere, il governo dei soviet dovette stringere il pugno intorno al collo della borghesia e moltiplicare in maniera esponenziale gli espropri e le nazionalizzazioni.
Purtroppo non poté estendersi in profondità in egual misura il controllo operaio nel senso di una gestione democraticamente operaia della produzione. Per rispondere in maniera centralizzata ed efficace agli attacchi militari nella guerra civile, i metodi del comunismo di guerra imposero una rigida centralizzazione delle decisioni sulla produzione e la distribuzione al solo scopo di impedire una catastrofe economica che avrebbe distrutto sul nascere il primo stato operaio. Le migliori forze della classe operaia russe furono perciò assorbite dalla guerra civile e impedirono che i germogli del controllo operaio fossero schiacciati in quella sanguinosa lotta per la sopravvivenza.
I bolscevichi stessi nei congressi dei soviet erano costretti ad ammettere lo stato comatoso della classe operaia logorata dalla guerra civile, nonostante gli sforzi del partito di mantenere un livello di attivismo elevato.
Come nota lo storico dei soviet Anweiler:
“Lenin insistette instancabilmente sulla necessità di destare l’iniziativa delle masse, di chiamare operai e contadini a partecipare all’amministrazione, educarli all’azione spontanea”[4].
Questo processo pose le basi per il prevalere dell’apparato burocratico, che si faceva strada sulla stanchezza degli attivisti, senza un reale contrappeso operaio nella gestione della società. Questo aspetto è sottolineato da Lenin nel secondo articolo che proponiamo, in cui rimarca più e più volte sull’importanza del ruolo della forma cooperativa, dell’emulazione, ora che la classe operaia ha il potere politico, e ora che le teorie e i vantaggi elogiati dai socialisti utopisti diventano una possibilità reale, a condizione però dell’accrescimento culturale operaio e contadino per educare milioni di persone alla gestione della società.
Non è un caso che in questo testo, scritto poco prima della sua morte intellettuale, Lenin indichi come l’apparato statale sovietico perda di utilità di fronte al riutilizzo del personale burocratico zarista e menscevico, a causa della scarsità di materiale umano sopravvissuto alla guerra civile.
O come disse Lenin in altra occasione:
“Abbiamo ereditato la vecchia macchina dello stato e questa è stata la nostra sfortuna. Abbiamo un esercito enorme di dipendenti pubblici, ma ci mancano le forze istruite ad esercitare un reale controllo su di esso (…) Al vertice ne abbiamo, non so quanti, ma almeno qualche migliaio. Più in basso ci sono centinaia di migliaia di vecchi funzionari provenienti dallo zar e dalla società borghese”.
[1] Questa polemica del marxismo nei confronti del socialismo utopista è stata esposta magistralmente da F. Engels nel suo opuscolo “L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza”
[2] Lenin, opere complete, vol. IV, p. 352.
[3] E. h. Carr, Storia della Russia sovietica. La rivoluzione bolscevica 1917 -1923, p. 476, einaudi, 1964.
[4] O. Anweiler, Die Ratebewegung in Russland 1905-1921, E. J. Brill, Leiden, 1958, trad. it,. Storia dei soviet. 1905-1921. Laterza, Bari, 1972, p. 448.