
“Senza l’economia pianificata, l’URSS arretrerebbe di decenni. Mantenendo quest’economia, la burocrazia continua ad assolvere una funzione necessaria, ma lo fa in una maniera tale da preparare l’affossamento del sistema e da minacciare la sopravvivenza di tutte le conquiste della rivoluzione” (Lev Trotsky, 1936) (1)
Il morto che soffoca il vivo
Il crollo dell’URSS non fu accolto da folle giubilanti come accade alla fine di tutte le dittature, ma da una massa preoccupata e inquieta per il futuro, come lo era negli ultimi 3-4 anni precedenti. Quando Gorbacev prese il potere nel 1985 non pensava di portare alla dissoluzione la seconda potenza mondiale. La federazione socialista che si estendeva su un sesto del pianeta, con sterminate risorse naturali, con al suo attivo incredibili imprese scientifiche, con primati su primati nell’esplorazione spaziale, che dimostravano come in pochi anni da paese semifeudale fosse diventato una potenza industriale, con il maggior numero di ingegneri e ingegnere al mondo, con quattro volte il numero di medici e posti letti rispetto agli USA (2). Aveva però anche appesi al collo un macigno: decenni di asfissiante controllo burocratico su tutti gli aspetti della collettività. Che sempre più paralizzavano l’economia e la società stessa, fino all’ apatia di una massa che assistette allo scioglimento dell’Urss come si assiste al passaggio di un autobus.
Non faremo la cronistoria degli ultimi anni dell’URSS, facilmente rintracciabile da chiunque, ma faremo alcune riflessioni su cosa fosse quel sistema che crollò e chi lo governava.
Inizialmente Gorbacev venne scelto dall’apparato sovietico, per svecchiare la dirigenza del paese e provare a superare la stagnazione e che da quasi vent’anni attanagliava l’URSS. Davanti a questo però sorgevano per lo meno due problemi. Primo: la burocrazia non conosceva fino in fondo la realtà sovietica, ingannata essa stessa dai vari livelli di segretezza e dalla mancanza di affidabilità e responsabilità degli infiniti dipartimenti statali. Secondo: in virtù di questa ignoranza né Gorbacev, né nessun altro aveva idea di cosa andasse fatto e nessuno preparò una strategia o riuscì a studiare un approccio adeguato alla natura della società sovietica (3). Il primo problema era dovuto alla natura stessa dello strato dominante. Il potere della burocrazia si reggeva sin dall’inizio su un mistero.
La presenza di questo corpo sociale, questa casta, non era rilevabile dai documenti ufficiali, né dalle norme giuridiche, quali la costituzione le leggi, né dalle statistiche. La burocrazia si stendeva come un gigantesco peso morto, su tutto il corpo della società e sempre più la soffocava e le succhiava le energie. Periodicamente sia durante il regno dei predecessori che di Gorbacev, essa cercava di ripulire le proprie stalle dai funzionari corrotti, arricchiti illecitamente, ma sempre in maniera cosmetica e sensazionalista, perché sin dagli anni 20-30 era cosa frequente che i “compagni” dirigenti di fabbrica, o alti funzionari dei ministeri, o dell’esercito, godessero di privilegi e di redditi, invisibili, persi nei rivoli dei bilanci e consuntivi delle varie istituzioni ma che superavano di molte volte la ricchezza del cittadino sovietico medio, l’operaio, e ancora peggio rispetto i contadini.
Ma la contraddizione di un regime con proprietà socialista dell’economia, ma con norme di distribuzione borghesi non era di per sé una condanna a morte per l’URSS. Lo fu che in 60 anni, la burocrazia stalinista soffocò e schiacciò permanentemente qualsiasi intervento e attività operaia che potesse, attraverso il suo contributo allo studio e alla preparazione dei piani quinquennali, correggere le distorsioni derivanti da una pianificazione dall’alto, senza cura per i bisogni reali dei vari settori della società, né per la qualità delle merci. Le statistiche erano impietose.
A partire dall’industrializzazione accelerata degli anni 30, le spese per i beni di produzione furono per 50 anni sempre almeno il doppio della spesa in beni di consumo (4) : questo non era un male necessario del socialismo, ma fu una precisa scelta della burocrazia. Far crescere lo stato con l’industria pesante e militare. Inoltre, nonostante la avanzatissima ricerca scientifica sovietica, questa fu tenuta rigidamente segregata e separata dalla produzione di beni di consumo per cui le tecnologie che potevano aumentare la produttività del lavoro o la qualità delle merci o il benessere dei cittadini sovietici, non avevano possibilità di esser applicate su larga scala, anche questo non per la natura socialista della pianificazione, ma per l’ossessione burocratica per la segretezza e il monopolio del sapere (5).
L’apprendista stregone.
Su Gorbacev si è scritto di tutto, e l’immagine dell’apprendista stregone che mette in moto forze che non sconosce sembra quella più adatta al personaggio. Inizialmente cercò di portare avanti le caute riforme del predecessore Andropov, proclamando una accelerazione nell’economia, una maggiore disciplina sul lavoro e la fine della corruzione. La prima scelta d’impatto però, la campagna contro il consumo di vodka, non solo ebbe un effetto ingente sul bilancio statale e sull’agricoltura di alcune repubbliche sovietiche, ma iniziò a creagli una grande impopolarità.
Nel febbraio dell’86, al 27° congresso del PCUS, in un discorso fiume lanciò le due parole d’ordine che son da sempre associate alla sua reggenza, perestroika e glasnost, riforme radicali e trasparenza nell’attività del governo e del partito. Erano espressioni di un urto tra l’immobilità caratteristica della burocrazia sovietica, – da sempre per il quieto vivere, non solo nei confronti dell’imperialismo, ma anche della classe operaia- e la necessità sempre più avvertita di operare dei cambiamenti di fronte all’ evidente realtà dell’impietoso confronto con i paesi capitalisti.
La sua idea di riportare la crescita del paese al 5-6% dopo 15 anni di stagnazione (6), non era di per sé irrealistica, se avesse saputo di cosa stesse parlando. Ma per fare ciò andava distrutta la presa burocratica, ormai quasi borghese sulle unità di produzione, sostenere la democrazia operaia e avere un partito di quadri militanti, non di gestori e arrivisti. Gorbacev al contrario, diede sempre più poteri e autonomia ai dirigenti industriali, permise la creazione di cooperative farlocche, distrusse il monopolio sul commercio estero iniettando nel cuore della società sovietica i veleni che avrebbero fermato definitivamente il suo cuore.
L’economia sovietica tradizionalmente aveva un peso molto marginale sul mercato mondiale, a causa del basso standard delle sue merci, esportava prevalentemente materie prime e importava grano e macchinari industriali. L’apertura anche parziale al mercato e il mancato controllo dei flussi finanziari permisero ad un’economia già stagnante di subire l’urto di decine di migliaia e poi centinaia di migliaia di operatori economici che parallelamente all’economia pianificata (ormai si fa per dire), destabilizzavano e facevano lievitare i prezzi e la disponibilità di certe merci.
L’economia cominciò ad avvitarsi, con settori che abusivamente erano ormai orientati al profitto. Crebbe il caos nell’approvvigionamento, nella produzione e nella distribuzione delle merci.
Si possono individuare e dare priorità a questo o quell’elemento che portarono all’avvitamento e al caos economico, ma la principale causa, di fondo è la bassissima produttività del lavoro in Urss, rispetto ai paesi occidentali.
Back in USSR
Nella politica estera, la necessità di avere la tranquillità per portare avanti le riforme interne, portò ad una sempre maggiore apertura verso gli Stati Uniti. Nonostante i fallimenti iniziali, l’URSS voleva chiarire a tutti, che non poteva più sopportare la corsa agli armamenti e che si doveva definitivamente mettere fine alla guerra fredda e alla possibilità di uno scontro nucleare (7).
A questo proposito è interessante notare che, come tutti i suoi predecessori da Stalin in poi, Gorbacev si comportava con i leader imperialisti come da pari -non come da avversario di classe. Mentre era in visita dalla Thatcher nel 1984 trattava con assoluta indifferenza, ad esempio, il durissimo sciopero dei minatori pochi mesi prima di essere eletto segretario o parlava in termini che ricordavano più la retorica dei leader pacifisti che Lenin. Gorbaciov nei suoi rapporti coi paesi satelliti delle democrazie popolari chiarì sempre di più il disimpegno e l’autonomia delle rispettive burocrazie nazionali, il suo scopo era di diventare arbitro della complessa architettura socialista, garante della democratizzazione nelle repubbliche sovietiche e neutrale verso i destini delle altre nazioni in cui lo stalinismo manu militari aveva introdotto il proprio socialismo burocratico alla fine della Seconda guerra mondiale.
Così una dopo l’altra Ungheria, Polonia, paesi baltici, Ucraina, già protagoniste in passato di scontri col potere centrale grande russo, cogliendo la debolezza di fondo della burocrazia grande russa, cercarono di avviare i loro “socialismi in un paese solo” verso il capitalismo.
Reazioni al caos
Le misure gorbacioviane non colpirono solo i consumatori di vodka, ma toccarono quelli che spesso erano dei lavoratori privilegiati per quanto usurati. I minatori. Nell’89 entrarono in sciopero una miniera dopo l’altra, con rivendicazioni salariali e sociali (8). Queste lotte imponenti però, in assenza di un partito, ma anche solo di una tradizione recente di lotte sindacali, furono dirottate dei reggenti locali delle miniere e dei distretti politici e usati in chiave anti sovietica a loro volta.
Nell’attacco al dominio del partito unico sullo stato, Gorbacev aveva inconsapevolmente proclamato un “liberi tutti” che prese corpo nel tempo. Sempre maggiori settori della burocrazia vedevano queste riforme come la breccia attraverso cui appropriarsi delle ricchezze che già gestivano e di cui abusavano. Oppure di capitalizzare in termini politici come fece El’cin. Non c’è bisogno di spendere troppe parole sul successivo presidente della federazione russa, padrino di Putin, basti solo dire che anch’egli come Gorbacev era una creatura perfettamente coerente della burocrazia stalinista figlio di una casta, che formalmente e ritualmente omaggiava il comunismo, ma che si considerava la proprietaria del paese. Erano politicanti senza scrupoli, senza alcun legame con la classe operaia in nome della quale dicevano di governare, e che se non poteva farlo sotto la bandiera sovietica l’avrebbe fatto con quella nazionale russa.
Non russi alla riscossa
Per quanto possa apparire strano oggi, nel marzo 1991 nel referendum per votare sullo scioglimento dell’Unione Sovietica, i cittadini di tutte le repubbliche che parteciparono al voto, votarono in massa per mantenerla. E non c’è da stupirsene, la rivoluzione bolscevica impresse dei cambiamenti e miglioramenti talmente radicali a quelle popolazioni che neanche 60 anni di dispotismo burocratico e sciovinista russo poterono scalfire. Su circa 300 milioni di cittadini sovietici, solo la metà erano russi.
Con la politica di autodeterminazione di Lenin, furono creati alfabeti, scritture, letterature nazionali, sistemi educativi, sanitari, infrastrutture che per secoli furono negate per esempio ad azeri, uzbeki, kirghizi, armeni, kazaki, cosacchi, abkazi e così via. Le repubbliche conquistate dalla rivoluzione per la stragrande maggioranza, nonostante gli attriti con il centro, valutarono positivamente l’impatto del bolscevismo nelle loro vite. Gli attriti nazionali, i defilamenti di alcuni settori della burocrazia sovietica dall’unione per prospettare un’indipendenza borghese, fu un tratto più della Bielorussia, di Lettonia, Estonia e Lituania che delle originarie repubbliche sovietiche.
Fu anzi più il ruolo sciovinista della cricca di El’cin ad accelerare la dissoluzione, che vedeva di mal occhio la prosecuzione dell’Unione e del suo costo per le casse della repubblica russa. Una delle prime mosse di El’cin da presidente della repubblica russa, fu la revoca dei finanziamenti, di circa 100 miliardi di rubli al resto dell’Unione (9), visto come un peso in un’epoca di declino economico, aree su cui mantenere un’influenza ma senza che questa pesasse sulle già burrascose finanze della repubblica principale.
È così che finisce il mondo, non con un boato ma con gemito
La relativa pacifica fine dell’Urss è più da attribuire al carattere parassitario con cui fu cresciuta la dirigenza sovietica. . Ammainata la bandiera della classe operaia internazionale e rinchiudendosi tra i propri confini, per sviluppare un socialismo autarchico senza più la preoccupazione della rivoluzione internazionale, nel corso degli anni, seguendo la lezione di Stalin, l’elite sovietica visse la sua missione di preservarsi al potere senza ambizioni oltre confine.
Perché affannarsi in una guerra o lotta sanguinosa armata quando ci si poteva riciclare nel nuovo corso? Lo sparuto gruppo di gerarchi che organizzarono il farsesco golpe dell’agosto del 91, (che ebbe come unico effetto la messa al bando del PCUS in Russia e l’incameramento delle sue immense ricchezze nello stato russo), come il resto della burocrazia non aveva alcun legame con il resto della società che non fosse amministrativo. Non aveva perciò radici, interessi vivi da difendere fino alle estreme conseguenze. L’URSS finì con un gemito. Un gemito che ancora oggi risuona nelle ex repubbliche sovietiche, che non si ripresero mai dal crollo drammatico dell’economia in seguito alla fine.
Oggi la relativa stabilità di regimi come quello di Putin o quello bielorusso sono un lontano ricordo. La Russia è diventata un paese capitalista a un prezzo sociale enorme. Le tensioni sociali, che cominciano a esprimersi come scioperi ma che sono soprattutto incanalate nella lotta per una democrazia parlamentare funzionante, acquisiranno rinnovato vigore man mano che le fondamenta del regime mostreranno crepe sempre più accentuate. C’è una enorme tradizione marxista da riscoprire. Da quel Natale 1991 generazioni di lavoratori hanno guardato con diffidenza il marxismo, che associavano alla salma inerme di Lenin. Ma i fatti hanno la testa dura e la Russia è destinata dialetticamente a tornare al centro delle turbolenze mondiali. Dovremo osservarla con attenzione.
Note
1) L. Trotsky, La rivoluzione tradita, Milano, 2007, p.326
2) Britnell, M. In Search of the Perfect Health System, 2015, London, Palgrave. pp. 81–84.
3) Chiunque si approcci alla realtà in maniera scientifica, materialistica e dialettica, non può prendere seriamente in considerazione le favole su complotti per far cadere l’URSS, orditi da segreti circoli imperialisti. Questa “tesi” che circola in ambienti para staliniani, da comunisti possiamo facilmente smontarla con il seguente argomento: se il partito bolscevico di Stalin era la reale prosecuzione del partito bolscevico di Lenin, come fu possibile che con i suoi 10-20 milioni di iscritti non fu in grado di opporre alcuna resistenza né di classe né militare alla restaurazione capitalista. Il primo governo bolscevico, con una forza risicatissima e grazie ai soviet operai resistette a 3 anni di guerra civile e invasioni straniere, il partito forgiato da stalin al potere per decenni non riuscì neanche ad organizzare uno sciopero generale o una resistenza di alcun tipo. Davanti a questa semplice considerazione, crolla l’irrazionalismo di chi pensa che i destini del mondo siano guidati da uomini chiusi nelle stanze, piuttosto che dalle classi vive e operanti.
4) Ellmann. M, Socialist Planning, Cambridge university press, p.120
5) L’usurpazione del potere compiuta ai danni della classe operaia in URSS, è un processo che iniziò in séguito alla guerra civile russa, che impegnando in una feroce lotta per la vita o la morte gli strati più coscienti degli operai russi, nella lotta armata contro gli eserciti stranieri e le truppe dei generali ex zaristi, dissanguó e sconvolse sia le energie di questa classe , già esigua, sia l’economia russa. I soviet da effervescenti assemblee operaie e rivoluzionarie, sempre più si trasformarono in vuoti organi senza alcun reale potere.La burocrazia prima statale e poi partitica, sempre più senza il contrappeso di una attiva classe operaia, si sentí padrona del paese, ed eliminò via via tutti gli ostacoli al proprio potere autonomo, presenti nel partito bolscevico, prima le opposizioni di Trotsky e dei principi dirigenti, poi negli anni trenta con ondate repressive e processi farsa che sterminarono a centinaia di migliaia i rivoluzionari e chiunque rappresentasse un legame con il partito bolscevico che prese il potere.
6) Ronald G. Suny The soviet experiment, Oxford University press, p. 469
7) In realtà questa possibilità non fu mai reale, l’architrave della politica estera sovietica fu sempre non tanto o non solo la coesistenza pacifica con l’imperialismo, ma un moderato attivismo per impedire un vantaggio eccessivo, che non comportava ovviamente un impegno diretto nelle lotte nazionali o locali contro l’imperialismo: infatti tutte le rivoluzioni e le lotte di liberazione nazionale, a cominciare da quella jugoslava furono subite dall’URSS, che non aveva alcun interesse a creare tensioni antimperialiste.
8) Ronald G. Suny, op.cit. p. 468
9) M. S. Gorbacev, V menjajuscemsja mire, Mosca, 2018, p201.