4.1 La conquista della Lega dei giusti

A Bruxelles e poi successivamente a Parigi entrano in contatto con alcuni affiliati in esilio della Lega dei giusti, un’associazione socialista segreta, fondata a Parigi da profughi tedeschi, che in Germania è costretta a lavorare in clandestinità. Per Marx ed Engels rappresenta la possibilità di costruire un ponte con gli operai tedeschi. E’ soprattutto Engels a farsi carico dei contatti, essendo più libero dell’amico di muoversi tra il Belgio e la Germania.

Wilhelm Weitling

Ma come il movimento cartista, complici anche le condizioni di clandestinità in cui è costretta ad operare, la Lega dei Giusti diffida profondamente degli intellettuali. L’organizzazione è una setta, cioè una piccola struttura priva di legami di massa con il movimento operaio. Lotta per la sopravvivenza ma rappresenta il nucleo politicamente più avanzato in Germania, perché fa comunque propria la parola d’ordine di unità degli oppressi. Eppure vi sono molte tracce di idealismo nella parola d’ordine: “Tutti gli uomini sono fratelli”, mentre la sua composizione spazia da Weitling, fautore di un comunismo artigiano che cerca di unificare operai e piccolo borghesi, a Karl Grun, sostenitore del “vero socialismo”, movimento utopista; fino a Hess, che abbiamo già conosciuto ed altri attivisti di talento come Wilhem Wolff e Weydemeyer.

Le differenze di impostazione riflettono la natura di classe delle idee professate da questa associazione, che si avvicinava empiricamente alle necessità del movimento operaio senza assumerne conseguentemente tutte le conclusioni:

“All’inizio, Engels si trovò tutto il gruppo schierato contro: egli insisteva sulla necessità della rivoluzione armata, e accusava Grun e Proudhon di appoggiare ideali antiproletari e piccolo-borghesi. L’opposizione da fronteggiare e i numerosi attacchi al comunismo, lo fecero infuriare: propose allora di mettere ai voti una mozione per decidere se la loro fosse una riunione di comunisti o, piuttosto, un club amante dei dibattiti; se si riunivano in qualità di comunisti, si dovevano interrompere gli attacchi al comunismo. In caso contrario, egli non si sentiva di perdere altro tempo in sterili polemiche. I seguaci di Grun rimasero esterrefatti. Essi spiegarono che si incontravano ‘per promuovere il bene dell’umanità’ e che non erano affatto dei teorici mal influenzati: prima di poter prendere una decisione sul comunismo dovevano conoscerne esattamente gli obiettivi. Engels dette loro una ‘definizione semplicissima’: ‘Definii dunque così le prospettive del comunismo: 1) far trionfare gli interessi dei proletari in contrapposizione a quelli dei borghesi; 2) far ciò mediante l’abolizione della proprietà privata e la sua sostituzione con la comunanza dei beni; 3) non riconoscere altro mezzo per la realizzazione di queste prospettive se non la rivoluzione violenta, democratica.”[1]

In tutto, la Lega dei giusti non raggruppa più di venti sostenitori tra Germania e Prussia. L’accoglienza loro riservata è praticamente ostile. Marx ed Engels non si concentrano sul mutuo soccorso e sui sentimentalismi. Il nucleo del loro ragionamento discende direttamente da l’Ideologia tedesca e pongono molta attenzione allo sviluppo della borghesia come condizione per lo sviluppo del proletariato. Soprattutto, li divide proprio la centralità del proletariato nella rivoluzione, per quanto la Lega rappresenti il terreno di intervento più avanzato che un rivoluzionario potesse incontrare in quelle condizioni di difficoltà:

Ricorda Engels:

Anche in Germania esistevano molte sezioni, per necessità di cose di carattere precario; ma le sezioni che sorgevano compensavano largamente quelle che scomparivano. Solo dopo sette anni, alla fine del 1846, la polizia scoperse a Berlino (Mentel) e a Magdeburgo (Beck) una traccia della Lega, senza essere in grado di seguirla ulteriormente.

A Parigi Weitling che nel 1840 vi si trovava ancora, prima di passare in Svizzera, aveva egualmente di nuovo raccolto gli elementi dispersi.

Il gruppo nucleare della Lega erano i sarti. Sarti tedeschi vi erano dappertutto, nella Svizzera, a Londra, a Parigi. In quest’ultima città il tedesco era a tal punto la lingua dominante in questo ramo d’affari, che nel 1846 conobbi a Parigi un Sarto norvegese venuto in Francia direttamente per via di mare, il quale in 18 mesi non aveva imparato quasi neanche una parola di francese, ma alla perfezione il tedesco. Fra le comunità parigine della Lega, nel 1846 due erano composte in prevalenza da sarti, una da stipettai.

Da quando il centro di gravità era spostato da Parigi a Londra, un nuovo elemento passò in primo piano: la Lega da tedesca divenne a poco a poco internazionale. Nell’associazione operaia venivano a trovarsi, oltre a tedeschi e svizzeri, anche membri di tutte quelle nazionalità, a cui la lingua tedesca serviva prevalentemente come mezzo di comunicazione con gli stranieri, specialmente dunque scandinavi, olandesi, ungheresi, cechi, slavi del sud e anche russi ed alsaziani.

Nel 1847 fra gli altri partecipava regolarmente alle riunioni anche un granatiere della guardia in uniforme. L’Associazione ben presto si chiamò: Associazione comunista di educazione operaia, e sulle tessere dei soci era scritto il motto: “Tutti gli uomini sono fratelli” per lo meno in venti lingue, anche se qua e là non senza errori. Come l’associazione pubblica, anche la Lega segreta assunse presto un carattere più internazionale; in un primo tempo ancora in senso limitato, praticamente per la diversa nazionalità dei suoi membri, teoricamente per la comprensione che ogni rivoluzione, per essere vittoriosa, dovesse essere europea. Più in là ancora non si andava; ma la base era data.[2]

Friedrich Engels 1840

Quello che Marx ed Engels possono fare mentre trattano la loro appartenenza alla Lega e cominciano a costruire una polemica con la sua direzione, è raccogliere quante più informazioni possibili dal dibattito socialista e operaio in Europa. Parigi si presta bene, per le condizioni politiche in cui è possibile operare. Inoltre, Parigi è sede di organizzazioni politiche ed anarchiche che favoriscono la circolazione di stampa operaia.

Fondano qui un “Comitato comunista di corrispondenza” che diverrà vent’anni dopo il nucleo fondante della I Internazionale. Questo Comitato permette loro di farsi un nome militante nel movimento mentre riescono a raccogliere informazioni sui movimenti in tutta Europa.

Engels sintetizza così il loro approccio flessibile, che farà scuola nel Partito bolscevico russo decenni più tardi:

Non pensavamo però affatto di sussurrare in grossi volumi i nuovi risultati scientifici esclusivamente al mondo dei “dotti”. Al contrario. Entrambi eravamo già profondamente impegnati nel movimento politico, avevamo un certo seguito nel mondo colto, specialmente della Germania occidentale, e ampi contatti col proletariato organizzato. Avevamo il dovere di motivare scientificamente la nostra concezione; ma era altrettanto importante per noi, di conquistare alle nostre convinzioni il proletariato europeo e in un primo tempo quello tedesco.

Non appena chiarite a noi stessi le nostre idee, ci mettemmo al lavoro. A Bruxelles fondammo un’associazione operaia tedesca e ci impadronimmo della “Deutsche Brüsseler Zeitung”, in cui avemmo un nostro organo fino alla rivoluzione di febbraio. Con la corrente rivoluzionaria dei cartisti inglesi eravamo in contatto attraverso Julian Harney, direttore dell’organo centrale del movimento, “The Northern Star”, di cui ero collaboratore. Eravamo pure legati da una specie di blocco con democratici di Bruxelles (Marx era vicepresidente dell’associazione democratica) e con i socialdemocratici francesi della “Réforme”, alla quale fornivo notizie sul movimento inglese e tedesco. In breve, i nostri collegamenti con le organizzazioni e con la stampa radicali e proletarie erano del tutto conformi ai nostri desideri.[3]

Ancora una volta la realtà si incarica di accelerare tutti questi rapporti. Quando nel 1847 cominciano a scoppiare le prime rivolte in Francia e i primi forni vengono assaltati, Marx ed Engels comprendono che da lì a poco la rivoluzione sarebbe divampata in tutto il continente. Proprio mentre sta per scoppiare il 1848, le autorità francesi mettono al bando il movimento socialista e, soprattutto, le autorità tedesche richiedono la loro estradizione. Sono costretti a trovare rifugio in Inghilterra. La Lega dei giusti veniva messa alla prova, così le loro posizioni. Avrebbe resistito?

 

4.2 Dal I congresso al Manifesto

Solo il processo reale dei moti rivoluzionari borghesi del 1848 e degli scioperi in Inghilterra dello stesso anno imprimono un reale dibattito dentro la Lega. Le posizioni mutano progressivamente dall’utopismo alla necessità di essere la direzione del movimento:

“Al pari di Engels, Schapper e Bauer erano stati sorpresi dalle lotte degli operai inglesi, e valutavano appieno l’insufficiente interpretazione di Cabet e di Weitling circa le condizioni sociali ed economiche esistenti in Inghilterra.

(…)

Presto essi si convinsero che non dovevano più lottare per creare un sistema di governo utopistico, ma dovevano al contrario ‘rappresentare una parte cosciente’ nei mutamenti sociali in corso.”[4]

Karl Gruen

Non c’è più tempo da perdere. Gli elementi più avanzati nella Lega sono quelli a stretto contatto con la classe operaia. Tra questi il dirigente inglese Moll che, come Marx ed Engels, è convinto che la Lega debba uscire dalla clandestinità ed abbracciare apertamente il movimento. L’unico modo per superare questo approccio cospirativo sostenuto con forza da Weitling e Grun è quello di fare un fronte comune per conquistare la Lega e riorganizzarla su basi operaie. Moll insiste da subito perchè Marx ed Engels aderiscano ufficialmente alla Lega e ne costituiscano una frazione basata sul lavoro del Comitato di corrispondenza che hanno eretto a Parigi. Ci sono 6 mesi da qui al giugno 1847 per stringere legami necessari a vincere il I congresso fondativo.

E’ facile osservare come Marx ed Engels possano raccogliere i frutti di quanto duramente seminato. Eppure ciò che conta è precisamente quanto hanno seminato. Tra il 1846 e il 1847 hanno stretto legami, sviluppato collaborazioni e creato un Comitato che, sapevano, a un certo sarebbe servito anche come strumento di pressione. Moll stesso, da operaio empirista inglese qual è, è estremamente diffidente nei loro confronti. Teme il potere delle parole sulla base della Lega ma è anche consapevole che la situazione impone drastici cambiamenti. L’organizzazione deve uscire dalla propria mentalità da circolo ristretto se vuole entrare nel flusso vorticoso della rivoluzione europea.

Dunque aderiscono convinti alla Lega, ma solo Engels potrà partecipare al congresso del giugno 1847. Marx non è nelle condizioni economiche per affrontare il viaggio fino a Bruxelles. Spetterà ad Engels scrivere e soprattutto parlare al congresso:

“Dopo lunghe e animate discussioni, egli infatti riuscì a imporre la sua opinione, trasformando la Lega in un’associazione propagandistica non clandestina. E una delle sue più importanti proposte fu che il nuovo statuto sancisse una rottura completa con i vecchi sistemi delle ‘decisioni dall’alto’. Una società segreta era destinata ad essere diretta da un comitato centrale con poteri dittatoriali, mentre in un’associazione pubblica tutti gli iscritti potevano eleggere i propri dirigenti. La Lega dei giusti si trasformò quindi nella Lega dei comunisti e il suo obiettivo principale venne sintetizzato dalle stesse parole di Engels: ‘Disfatta della borghesia, governo del proletariato, abolizione dei privilegi borghesi basati sulle differenze di classe, e creazione di una nuova società senza classi e senza proprietà privata.’ “[5]

Engels propone al congresso di convertire il motto della Lega da “Tutti gli uomini sono fratelli” a “Proletari di tutti i paesi, unitevi”. E’ esattamente quanto ritroveremo nel Manifesto del partito comunista poco più di tre mesi dopo.

La direzione decide infatti di convocare un secondo congresso per il mese di novembre e incarica Marx ed Engels di redarre il manifesto programmatico. Engels e Marx si confrontano con due abbozzi preparatori che Marx poi avrà il genio di sintetizzare nel testo del Manifesto.

L’abbozzo di Engels rappresenta un Manifesto in miniatura, che anni dopo verrà pubblicato col nome di Principi del comunismo. L’impostazione dei Principi è estremamente chiara e rappresenta una sintesi di tutte le posizioni politiche per cui Engels ha lottato in tutti questi anni:

A poco a poco, oltre la manifattura vera e propria, anche l’artigianato cadde sempre più sotto il dominio del sistema della fabbrica, poichè anche i grandi capitalisti soppiantarono sempre più i piccoli mastri capi d’arte impiantando grandi laboratori i quali permettono il risparmio su molte spese e danno altresì la possibilità di una grande divisione del lavoro. Così oggi siamo arrivati al punto che nei paesi civili quasi tutte le branche di lavoro funzionano col sistema della fabbrica, e che in quasi tutte le branche di lavoro l’artigianato e la manifattura sono stati soppiantati dalla grande industria. A questo modo il ceto medio esistente finora, specialmente i piccoli maestri artigiani, si sono sempre più rovinati, le condizioni passate dei lavoratori si sono completamente rovesciate, e sono state create due classi nuove, che a poco per volta inghiottono tutte le altre, cioè:

  1. La classe dei grandi capitalisti, che in tutti i paesi civili già ora hanno il possesso quasi esclusivo di tutti i mezzi di sussistenza e delle materie prime e degli strumenti (macchine, fabbriche) necessari per la produzione dei mezzi di sussistenza. Questa è la classe dei borghesi o borghesia.
  2. La classe di coloro che non hanno possesso alcuno, che sono costretti a vendere ai borghesi il proprio lavoro per averne in cambio i mezzi di sussistenza necessari per il loro sostentamento. Questa classe si chiama dei proletari o proletariato.”

e ancora:

“5. A quali condizioni si attua questa vendita del lavoro dei proletari ai borghesi?

Il lavoro è una merce come tutte le altre e il suo prezzo sarà perciò determinato proprio secondo le stesse leggi del prezzo di ogni altra merce. Ma il prezzo di una merce sotto il dominio della grande industria o della libera concorrenza – il che, come vedremo, è poi tutt’uno – è in media sempre uguale ai costi di produzione della merce stessa. Dunque. anche il prezzo del lavoro è uguale al costo di produzione della merce stessa. Ma il costo di produzione del lavoro consiste esattamente nella quantità di mezzi di sussistenza necessaria a mettere l’operaio in condizione di rimanere atto al lavoro e a impedire l’estinzione della classe operaia. L’operaio non riceverà dunque per il suo lavoro più di quanto sia necessario a questo scopo; il prezzo del lavoro o salario sarà dunque il minimo necessario per il sostentamento della vita.”

e infine:

“20. Quali saranno le conseguenze della eliminazione finale della proprietà privata?

Anzitutto, per il fatto che la società sottrae alle mani dei capitalisti privati l’uso di tutte le forze produttive e di tutti i mezzi di scambio come pure lo scambio e la distribuzione dei prodotti, e li amministra secondo un piano risultante dai mezzi che si hanno a disposizione e dai bisogni della società intera, – vengono eliminate le cattive conseguenze che oggi sono ancora connesse all’esercizio della grande industria. Le crisi scompaiono; la produzione estesa che per l’ordinamento attuale della società è sovrapproduzione e causa tanto potente di miseria, non potrà dopo la rivoluzione raggiungere neppure la sufficienza, e dovrà essere ancora molto più estesa. Invece di essere apportatrice di miseria, la sovrapproduzione garantirà, ben più che il fabbisogno immediato della società, la soddisfazione dei bisogni di tutti, e genererà nuovi bisogni e insieme i mezzi per soddisfarli. Essa sarà condizione e occasione di nuovi progressi, ed attuerà questi progressi senza che perciò, come è accaduto ogni volta fino ad ora, l’ordinamento della società sia messo in scompiglio. La grande industria, liberata dalla pressione della proprietà privata, si svilupperà in dimensioni di fronte alle quali il suo perfezionamento attuale apparirà meschino quanto appare la manifattura nei confronti della grande industria dei nostri giorni. Questo sviluppo dell’industria metterà a disposizione della società una massa di prodotti sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti.

(…)

L’esercizio comune della produzione non può essere attuato da uomini come quelli di oggi, ognuno dei quali è subordinato a un unico ramo della produzione, incatenato ad esso, da esso sfruttato, ognuno dei quali ha sviluppato una sola delle sue attitudini a spese di tutte le altre, e conosce soltanto un ramo, o soltanto un ramo di un ramo della produzione complessiva. Già l’industria attuale ha sempre minor uso per tali uomini. L’industria esercitata in comune e secondo un piano da tutta la società presuppone assolutamente uomini le cui attitudini siano sviluppate in tutti i sensi, che siano in grado di abbracciare tutto il sistema della produzione.[6]

Sono qui delineati i principi fondamentali del movimento comunista. Se guardiamo la concentrazione della produzione mondiale in poche multinazionali nel capitalismo di oggi, le condizioni generali sempre più simili che accomunano miliardi di lavoratori indipendentemente da nazionalità, religione e orientamente sessuale, ci rendiamo conto di quanto questa analisi sia più attuale oggi di quanto potesse esserlo nel 1847. L’umanità è in catene e la sua condizione di schiavitù è più forte delle differenze particolari dei diversi paesi.

Il manifesto del partito comunista

Con la pubblicazione del Manifesto, il movimento comunista avrebbe assunto un’identità e un programma che possono e devono essere di ispirazione ancora oggi per chiunque decida di lottare per un mondo più giusto. Di fronte alla barbarie del capitalismo in crisi, che condanna alla fame milioni di persone e accumula oscene ricchezze nelle mani dell’1% della popolazione mondiale, non vi è forma di tassazione o riforma che possa fungere da argine. E’ necessario un rivolgimento profondo, una rivoluzione che rimetta nelle mani di chi produce il potere reale di costruire la società. Un potere inconscio che i lavoratori hanno collettivamente nelle proprie mani ogni giorno ma di cui non si rendono conto è un potere che necessita di un programma e di una organizzazione adatti a un compito così titanico.

Marx ed Engels lo gridano al mondo impugnando la direzione del movimento comunista tedesco. E il mondo li metterà presto alla prova con la necessità di fondare una organizzazione ancora più grande.

 

 

Note:

[1] G. Mayer, Friedrich Engels, pag77-78, Einaudi editore

[2] F. Engels, Per una storia della Lega dei comunisti

[3] Ibidem

[4] G. Mayer, Friedrich Engels, pag 84

[5] Ibidem, pag 85-86

[6] F. Engels, Principi del comunismo