“[In Germania] gli operai furono in grado di fondare un partito indipendente a brevissima distanza dall’introduzione di un moderno sistema industriale, e di inviare in parlamento i propri rappresentanti. Non esisteva un partito di opposizione alla politica governativa e questo ruolo toccò al partito operaio”[1]

Karl Marx

Marx accolse nel 1875 il programma fondativo della socialdemocrazia tedesca (Spd) con una profonda insoddisfazione. Sin dalla sua nascita il partito aveva mostrato un pericoloso spirito di adattamento al sistema. Il programma su cui era nato, quello di Gotha, era un miscuglio di luoghi comuni e slogan non scientifici che Marx aveva sottoposto a puntigliosa critica.

Un particolare fenomeno sociale pesava poi sulla composizione e sulla linea del partito. In Germania l’industrializzazione era avvenuta a braccetto del militarismo prussiano e sotto la benedizione del Kaiser. Ne era risultato uno Stato che era – nelle parole di Marx – “un dispotismo militare, guarnito di forme parlamentari, mescolato con appendici feudali, già influenzato dalla borghesia”.[2] Ne derivò la totale assenza di un’opposizione democratico-borghese alla vecchia società feudale. Tutto il radicalismo borghese tendeva perciò a indirizzarsi verso l’unico partito d’opposizione, la socialdemocrazia tedesca. Questo spiega la relativa facilità dei successi parlamentari che ne accompagnarono tutta la vita. Spiega allo stesso tempo la tendenza di un settore della direzione ad annacquare il proprio programma per rendersi ancora più permeabile alle idee della piccola borghesia democratica. Come spiegava Marx, per tali dirigenti

il programma non deve essere abbandonato, deve essere solo rinviato a tempo indeterminato. Lo si accetta, ma non per sé e per il tempo nel quale si vive, bensì per l’avvenire, come una eredità da lasciare ai figli e ai figli dei figli. Nel frattempo si dedica “tutta la forza e l’energia” a ogni sorta di ciarpame e al rabberciamento della società capitalistica, affinché si abbia l’impressione che qualcosa accade, ma in pari tempo la borghesia non sia spaventata. [3]

Ma tutto questo ai tempi di Rosa Luxemburg appariva un ricordo lontano, fatti noti a pochi specialisti. Nel 1878 l’Spd aveva subìto sotto il Governo Bismarck la persecuzione delle leggi speciali anti-socialiste. Il partito aveva di fatto conosciuto la semi-clandestinità. I suoi dirigenti erano personaggi del calibro di August Bebel, operaio mastro tornitore incarcerato nello stesso periodo, oppure vecchi collaboratori di Marx, come William Liebknecht. Il partito era circondato dall’aura di autorità di Engels e di quelli che erano considerati i suoi eredi teorici, Karl Kautsky e Eduard Bernstein. Ma soprattutto l’instancabile attività dei suoi agitatori, unita all’intervento nel movimento sindacale, aveva fatto dell’Spd il primo partito di massa della Seconda Internazionale. Quando furono emanate le leggi speciali, aveva 437mila voti e 50mila iscritti alle proprie organizzazioni sindacali. Al momento in cui le leggi furono ritirate poteva già contare su 1 milione e 427mila voti e oltre 200mila iscritti al sindacato. Da lontano quella macchina organizzativa non poteva che apparire un perfetto mix di teoria e prassi, di slancio rivoluzionario e capacità tattica di sfruttare tutte le occasioni presenti.

Sotto la superficie continuava a covare una realtà lievemente differente. Quando nel 1890 furono abolite le leggi socialiste, tra un settore dell’apparato tornò quel desiderio di adattamento e di quieto vivere che lo aveva accompagnato nei suoi primi giorni di vita. Nel 1891 il Congresso di Erfurt aveva rivisto il programma del partito, definendo un “programma massimo”, l’obiettivo finale socialista, e uno “minimo”, le riforme per cui lottare da subito. Il primo fu scritto da Kaustky e il secondo da Bernstein. Entrambi non a caso finirono i propri giorni da riformisti. Nella divisione tra programma massimo e minimo era infatti già contenuto un profondo errore teorico. A che cosa serve il programma massimo – la rivoluzione socialista – se si possono comunque ottenere tutti i giorni dei piccoli avanzamenti duraturi? E soprattutto: perché il programma massimo non può essere raggiunto semplicemente prolungando in maniera graduale e indefinita quello minimo? La rivoluzione non veniva così abbandonata, ma – come descritto già da Marx – rinviata a tempo indeterminato. Nel 1894 un altro episodio aveva dato il polso dello stato reale del partito. Al Congresso era stata presentata una mozione che vietava ai socialdemocratici di votare a favore del bilancio finanziario di qualsiasi Stato tedesco. I delegati del Baden, nel sud della Germania, erano insorti sostenendo che questo divieto li avrebbe privati di qualsiasi possibilità di influenzare la politica del Governo regionale. La mozione fu ritirata ed il Baden sarebbe stato per tutti gli anni successivi la roccaforte del “socialismo governativo”.

Ma un fatto ancora più grave accadde attorno all’ultimo documento politico di rilievo scritto da Engels. Nel 1895 il “vecchio” scrisse la prefazione ad una nuova edizione delle Lotte di classe in Francia di Marx. Col suo immancabile genio militare, spiegò come la tattica delle barricate utilizzata durante la rivoluzione francese del 1848 fosse ormai superata. Dopo la sconfitta sanguinosa del primo tentativo di rivoluzione proletaria, la Comune di Parigi del 1871, Engels spiegava come di fronte al proletariato vi fosse un lungo periodo di preparazione e di conquista della maggioranza della classe:

E’ passato il tempo dei colpi di sorpresa, delle rivoluzioni fatte da piccole minoranze coscienti alla testa di masse incoscienti. Dove si tratta di una trasformazione completa delle organizzazioni sociali, ivi devono partecipare le masse stesse; ivi le masse stesse devono già aver compreso di che si tratta, per che cosa danno il loro sangue e la loro vita. (…) Ma affinché le masse comprendano quel che si deve fare è necessario un lavoro lungo e paziente, e questo lavoro è ciò che noi stiamo facendo adesso, e con un successo che spinge gli avversari alla disperazione. [4]

In complesso lo scritto non era fraintendibile. Ma con forti proteste dello stesso Engels, il dirigenti dell’Spd lo mutilarono delle frasi dove più si accennava alla futura rivoluzione. Dissero che era necessario evitare di dare pretesti al Governo per varare nuove leggi anti-socialiste. La morte di Engels si portò via questa verità e tale introduzione divenne nota come il suo “testamento politico”. Come spiegò in seguito Rosa Luxemburg, fu utilizzato per anni come inno di quel settore del partito che non vedeva “nient’altro che il parlamentarismo”.Alimentò la leggenda di un Engels convertitosi al riformismo sul letto di morte.

Tutto questo però non appariva esplicitamente. Era nascosto sotto un manto di discorsi rivoluzionari e bandiere rosse. Quando Rosa arrivò in Germania, l’unica cosa che notò inizialmente era lo spirito estremamente routinario che si respirava nel partito:

Sapete cosa non mi dà pace? Sono insoddisfatta del modo in cui per lo più si scrivono gli articoli nel partito. Tutto è così convenzionale, così legnoso, così stereotipo. (…) Credo che la causa stia nel fatto che per lo più chi scrive si dimentica di scavare più a fondo dentro di sé e di sentire tutta l’importanza e la verità di ciò che scrive. Credo che c’è bisogno di vivere e sentire la nostra causa ogni volta, ogni giorno, in ogni articolo di nuovo, e allora si troverebbero parole fresche, che vengono dal cuore e vanno al cuore (…). Ma ci si abitua tanto ad una verità che si borbottano le cose più profonde e più grandi come un padrenostro. [5]


[1]  KARL MARX, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma, 1976, p.47.

[2]  Ivi, p. 31.

[3]  Ivi, p. 61.

[4]  KARL MARX, Introduzione di F. Engels, Le lotte di classe in Francia, Editori Riuniti, Roma, 1962, p. 76,

[5]  PAUL FROLICH, Op. Cit, p. 49.