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1. E’ bastato firmare l’intesa perchè i padroni non perdessero tempo.

La Shiloh Industries è una piccola azienda valdostana di 70 dipendenti che produce stampati in alluminio. Acquistata dalla Teksid, gruppo Stellantis (ex FCA), ha subìto 12 licenziamenti a neanche 24 ore dalla firma dell’intesa tra le parti sociali e il governo. A Bulciago in provincia di Lecco, Teva, gigantesca multinazionale farmaceutica israeliana, ha comunicato la chiusura dell’impianto locale con 109 famiglie e l’attivazione all’ultimo momento di un anno di cassa integrazione strappato in trattativa, oltre all’intenzione di chiudere anche lo stabilimento di Nerviano, nel milanese, per liberarsi di altri 360 operai. A Lomazzo in provincia di Como, il gruppo chimico tedesco Henkel ha chiuso lo stabilimento locale licenziando 81 dipendenti direttamente il 30 giugno. La proprietà aspettava la firma dell’intesa. Ma non è necessario avere per forza uno stabilimento. Verso le piste di Malpensa, Air Italy ha il sospeso di 1350 dipendenti a cui è stata rinnovata la cassa integrazione in extremis per altri 6 mesi. Nel vicentino, l’ABB di Marostica ha licenziato giorni fa 61 operai per smontare l’impianto e spostarlo in Bulgaria.

2. Che l’intesa fosse ghiotta solo per i padroni se ne sono accorti subito alla Gianetti Ruote, azienda brianzola di Ceriano Laghetto i cui 150 operai producevano ruote per Iveco, Volvo e Harley-Davidson. La proprietà reclama perdite di milioni di euro negli ultimi anni. Il fondo speculativo che ha in mano l’azienda, per bocca dell’AD Goran Mihajlovic, li ha licenziati con un tratto di penna. Ora minaccia celere e camion per andare a prendersi macchine e commesse, che gli operai vogliono difendere con un presidio permanente che sta raccogliendo una solidarietà di massa. “La lotta sarà lunga1, dicono al presidio mentre il Corriere li dipinge come dei disperati costretti a una lotta che non possono vincere.

3. Scendendo oltre il piano padano nessun giornale del paese può ignorare la vertenza dirompente dei circa 500 operai di GKN, licenziati con una mail dal fondo d’investimento Melrose dopo aver imbottito lo stabilimento di commesse e nuovi macchinari depistando le preoccupazioni dei lavoratori. Un’azienda pienamente funzionante, che non ritorna più nei calcoli di bilancio del fondo. La proprietà ha trovato l’unico modo possibile di sbarazzarsi di una fabbrica ad alto tasso di sindacalizzazione, con una forte egemonia della sinistra sindacale. Involontariamente ne ha fatto un modello, che non lascerà scappatoie per nessuno: istituzioni, vertici sindacali, proprietà. Nelle parole arroganti del ministro dello sviluppo economico Giorgetti, per il quale i “licenziamenti sono inevitabili, ma non in questo modo2, c’è tutta la stizza del governo per una situazione che nessuno vuole gestire.

4. Ed ancora più giù, a Santa Maria Capua Vetere in provincia di Caserta, la vertenza Whirlpool che ormai si trascina da più di un anno è finalmente arrivata alla resa dei conti. La chiusura definitiva dello stabilimento è annunciata, con i suoi 340 dipendenti lasciati a casa. L’AD di Whirlpool Italia, Luigi La Morgia, non perde tempo a ricordare agli operai che: “sempre nell’ambito della procedura vogliamo anche confermare la nostra intenzione di prolungare in questo periodo la possibilità di accedere a un pacchetto di incentivazione.’ “. Una proposta così irricevibile che l’immancabile ministro Giorgetti quasi si offende dell’irriconoscenza operaia: “E’ irragionevole non accettare la proposta delle 13 settimane di cassa integrazione.”3 Ma forse la vetta maggiore è toccata dalla surrealtà delle considerazioni proferite da Antonello Accurso (UIL Campania): “Draghi ci ha detto che la decisione di avviare la procedura di licenziamento per i dipendenti dello stabilimento di Napoli rappresenta ‘un grave e inaccettabile sgarbo istituzionale’ “.4 Il governo dà la possibilità di licenziare gli operai e si offende se succede. E per i vertici della UIL sembra quasi una speranza.

 

Uno scontro che si prepara

5. Nessuna di queste fabbriche è un bidone vuoto. I padroni avrebbero potute chiuderle solo nel pieno della produzione. Se si fossero azzardati a trasferire parte della produzione o addirittura i macchinari per tempo, i lavoratori avrebbero risposto e si sarebbero organizzati. La strategia padronale è stata dunque l’unica possibile per cogliere i lavoratori impreparati. Ma questa strategia ha un limite, rappresentato dalla debolezza economica relativa del capitalismo italiano. Liberati dalle pastoie del blocco dei licenziamenti, i fondi d’investimento hanno agito secondo la logica del branco. Non si sono curati delle forme, che fino a pochi anni fa rappresentavano il modo con cui chiudere una fabbrica di concerto con le istituzioni e con la rassegnazione dei vertici sindacali. E questo ha generato un’onda di solidarietà operaia che nè loro nè le istituzioni si aspettavano. Ora non c’è nessuno che possa tirare fuori dall’imbarazzo sindaci, presidenti di regione, ministri e segretari confederali.

6. L’enorme quantità di ammortizzatori sociali erogato per fronteggiare la crisi generata dalla pandemia ha agito da freno su tutto lo slancio rivendicativo del movimento sindacale. Come la speculazione in borsa rinvia le crisi di mercato dando l’illusione di creare denaro dal denaro anche con i mercati saturi, così il ricorso svincolato alla cassa integrazione per più di un anno ha rinviato il confronto tra i lavoratori, i propri datori di lavoro e il proprio sindacato. Questo effetto potrebbe tradursi ancora in un ritardo della risposta del movimento in generale. Ma economicamente questa politica non è sostenibile per il padronato, nemmeno nel breve termine, ed è stata a lungo anticipata da Bonomi e da tutta la campagna contro il “sussidistan”5 del governo Conte. L’elemento di debolezza di questa equazione non è rappresentato dal tentativo di Bonomi di ricompattare Confindustria, le cui frange più irrequiete verso il loro presidente temono proprio uno scenario alla GKN, ma dalla fiacchezza della risposta di Landini che rinuncia in partenza ad approfittare di queste divisioni.

7. Viste dall’alto, tutte queste vertenze non fotografano ancora uno scontro a tutto campo tra padronato e movimento dei lavoratori italiano. Semmai ne rappresenta un prologo maestoso. Attualmente il MISE ha 99 tavoli aperti, su cui ballano circa 55mila posti di lavoro. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, i licenziamenti potenziali dopo la fine del blocco oscillano tra i 30mila e i 70mila6. L’equazione è dunque troppo complessa per essere semplificata in quattro slogan. E’ fin troppo evidente che GKN è la vertenza che i padroni non volevano ma che dovevano introdurre. Piegare una fabbrica così sindacalizzata sfonderebbe un argine significativo senza che il movimento sindacale, nel suo complesso, sia stato ancora chiamato alle armi. Quanto più la pressione dei lavoratori in lotta si scaricherà su funzionari piccoli e grandi, tanto più le direzioni confederali saranno costrette a rivedere la mitezza con cui imploravano di non rompere la coesione sociale durante la manifestazione sociale organizzata il 26 giugno7. Questa fase non è certo una ripetizione della salita sui tetti del 2009, che culminò con lo scontro alla Innse Presse di Milano. Quella stagione venne dettata dalla crisi economica dei mutui subprime e fotografò una risposta disperata del movimento sindacale. Questa fase invece ha appreso una lezione importante proprio da quegli eventi: la crisi è diventata permanente perchè le possibilità di ripresa sono troppo fragili. Il movimento dei lavoratori deve contare solo sulle proprie forze. Che ne sia consapevole, è precisamente il potenziale problema della fase che attraversiamo.

 

Di chi sono queste fabbriche

8. Nessuna delle vertenze citate all’inizio di questo editoriale ha un futuro secondo i meccanismi di mercato. Costretti dal solo terreno legale, le istituzioni potranno offrire solo rinvii, sia che si tratti di cassa integrazione o reintroduzione del blocco dei licenziamenti, quest’ultimo passaggio formalmente inapplicabile se la proprietà si rifiuta di far lavorare lo stabilimento. Alla lunga significherebbe comunque la confluenza negli ammortizzatori sociali e nell’inattività produttiva. Non possiamo escludere che il fronte padronale a un certo punto cominci a offrire laute buonuscite per dividere il fronte della lotta. E se pure lo Stato decidesse di acquisire questi stabilimenti, se ne farebbe carico a debito solo nell’attesa di una cessione. Se uno stabilimento come GKN venisse ceduto dallo Stato a Stellantis a prezzo di saldo, quanto tempo dovrebbe passare prima che le esigenze di bilancio della holding tornino a minacciarne la chiusura? E’ la difficoltà del mercato dell’auto a parlare. Lo stato nell’economia di mercato può solo offrire soluzioni di sconto agli industriali.

9. Dunque la resistenza di questi presidi operai deve cercare una via d’uscita differente. Questi stabilimenti possono continuare a vivere solo fuori dai vincoli legali della proprietà e del mercato. Per questo la parola d’ordine della nazionalizzazione può vivere solo sulla base di concreti rapporti di forza. Ma come parola d’ordine poggia però su un dato di fatto che le trattative già mostrano. I lavoratori di tutte queste aziende hanno dimostrato che possono condurre la produzione dei loro stabilimenti pienamente, in modo ancora più efficiente rispetto agli sprechi della proprietà. Questi fondi d’investimento fotografano ancora di più lo stadio parassitario e senile del capitalismo in cui viviamo. Come i nobili all’alba della rivoluzione francese non sapevano nemmeno da quali terreni traessero le loro rendite, così questi fondi d’investimento sono del tutto scollegati dalle esigenze della produzione reale. Nulla ne giustifica l’esistenza su un piano produttivo. Queste fabbriche non sono più loro, bensì di chi se prende cura in produzione ogni giorno.

10. Ma perchè la parola d’ordine di una nazionalizzazione sotto controllo operaio si affermi, il movimento deve fare ulteriori salti di qualità. Oggi queste vertenze devono essere tutte collegate e non solo per una solidarietà verbale. Devono porre tutte l’esigenza di poter produrre senza padroni ai tavoli di trattativa. Dovrebbe essere il primo compito del sindacato, a partire dalla Fiom, e sarebbe un formidabile esempio per tutto il movimento. L’enorme solidarietà raccolta da questi presidi, a partire da GKN, ci dice che esiste un potenziale di rabbia e di combattività strepitoso. Spaventa i padroni, che non riescono nemmeno a celarlo nei loro organi di stampa. Questo potenziale va’ coltivato, a partire da una campagna che conduca a uno sciopero generale di tutto il gruppo FCA, per arrivare a uno sciopero generale di tutte le categorie. Gli scioperi devono essere preparati con generose assemblee nei luoghi di lavoro e iniziative pubbliche, a cui tutti, studenti e lavoratori, possano attingere.

E’ necessario creare un clima di riscossa, con una strategia razionale. Come i padroni hanno chiuso questi stabilimenti a mente fredda, così il movimento operaio deve avere una strategia per resistere un minuto più di loro. Ci sono le risorse e la solidarietà di un intero paese a cui attingere. E’ in questa direzione che le direzioni confederali dovrebbero muovere le loro macchine organizzative e quelle extraconfederali convergere per radicalizzare e spingere avanti la lotta.

Sarebbe decisivo, ma lo sarebbe ancor più se esistesse una sola voce della sinistra radicale italiana. Oggi queste vertenze possono contare solo sulla propria forza, perfino per veicolare il messaggio del controllo operaio. Mancano di una sponda politica adeguata, a causa della forzata frammentazione della sinistra radicale italiana. E’ una debolezza del movimento, che deve essere colmata il prima possibile. Un percorso unificante è ineludibile alla luce della fase in cui stiamo entrando: un percorso aperto, dove organizzazioni e tendenze diverse possano gareggiare tra loro per poi sottomettersi secondo regole condivise a un’organizzazione unificante. Questo aiuterebbe le lotte ad avere una prospettiva e un’eco maggiore per un programma adeguato.

E’ tempo di entrare in una nuova fase, di cui vediamo le prime giornate. Viste dall’alto, queste vertenze riflettono infatti un aspetto storico che regna su tutto questo processo. Il movimento operaio italiano non viene scosso dalle fondamenta da più di 40 anni. E’ stato fatto arretrare sacrificio dopo sacrificio, privato della rappresentanza politica. Ora che ha le spalle al muro non ha più orecchie per sentire gli inviti alla calma. Tremerà il paese quando il movimento operaio si renderà conto della propria forza.

 

Note:

1 https://milano.corriere.it/notizie/lombardia/21_luglio_14/giannetti-ruote-notte-gli-operai-difesa-fabbrica-non-porteranno-via-nostre-vite-qui-b9639dea-e406-11eb-9ca3-9397dc78a855.shtml

2 Corriere della sera, 7 luglio 2021

3 https://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/whirlpool-azienda-annuncia-avvio-procedura-licenziamenti-8a778779-76d2-4df6-b889-a39701614043.html

4 Idem

5 https://www.corriere.it/economia/aziende/20_settembre_29/bonomi-confindustria-governo-scriva-nuovo-grande-patto-italia-iperf-dipendenti-paghino-soli-33bd7518-025b-11eb-a582-994e7abe3a15.shtml

6 https://www.internazionale.it/reportage/angelo-mastrandrea/2021/07/14/licenziamenti-italia

7 https://www.ilsole24ore.com/art/sindacati-piazza-contro-sblocco-licenziamenti-landini-no-ulteriori-fratture-sociali-AE9PNBT