
“Nell’Europa dell’atmosfera putrescente, in cui da quasi tre anni si soffoca, è stata improvvisamente aperta una finestra da cui entra corrente d’aria fresca e vivificante (…). Ma nonostante tutto il suo eroismo il proletariato di un solo paese non è in grado di liberarsi da solo da questa stretta. La rivoluzione russa si sta trasformando spontaneamente in un problema internazionale. Con i loro sforzi di pace gli operai russi entrano in conflitto acuto non soltanto con la propria borghesia alla quale sanno già tener teta, ma anche con la borghesia inglese, francese, italiana…”[1].
Rosa Luxemburg
Quando scoppiò la rivoluzione russa Rosa Luxemburg era in carcere. Le notizie dalla rivoluzione le giunsero a sommi capi. Dal luglio del 1917 fu trasferita dalla fortezza di Wronke al carcere di Breslavia dove il contatto con l’esterno si fece ancora più difficoltoso. Questo contesto concreto costituisce la tara di qualsiasi cosa abbia scritto o detto in quel periodo riguardo alla rivoluzione russa. I suoi giudizi e i suoi scritti furono di natura necessariamente frammentaria. Eppure gli stalinisti e i riformisti pescarono a larghe mani da questo materiale per alimentare la leggenda di una Luxemburg antibolscevica. Sembra un marchio di fabbrica della calunnia storica quello di basarsi sulle mezze frasi e le riflessioni dei grandi marxisti in carcere, per cancellare ogni ricordo del periodo in cui essi si trovano in libertà, in pieno possesso delle proprie facoltà.
Fuori da ogni possibile dubbio, Rosa Luxemburg accolse la rivoluzione russa con estremo entusiasmo. Eppure – potrà stupire i riformisti di ogni tempo – il compito di un marxista non è quello di sbrodolare elogi nei confronti dei processi rivoluzionari, ma di comprenderne la dinamica e di mettere in luce i punti di maggiore problematicità, tanto gli ostacoli oggettivi quanto i possibili errori soggettivi. Perciò, se c’è qualcosa di cui stupirsi negli scritti della Luxemburg del periodo, non sono le osservazioni critiche ma la quantità di elogi che rivolse ai bolscevichi:
Il partito di Lenin è stato l’unico che abbia compreso il comandamento e il dovere di un partito autenticamente rivoluzionario e che, attraverso la parola d’ordine “tutto il potere al proletariato e ai contadini”, abbia assicurato l’avanzamento della rivoluzione. In questo modo i bolscevichi hanno risolto la famigerata questione della “maggioranza popolare” che per i socialdemocratici tedeschi è eternamente stata una specie di incubo. In qualità di discepoli incarnati del cretinismo parlamentare essi non fanno che trasferire sul piano rivoluzionario la saggezza casereccia dell’infantilismo parlamentare: per fare qualcosa si deve prima avere la maggioranza. Dunque, anche per la rivoluzione, innanzitutto diventiamo “maggioranza”. La concreta dialettica rivoluzionaria ricolloca tuttavia sulla testa questa sapienza da talpe parlamentari: la strada non porta alla tattica rivoluzionaria attraverso la maggioranza ma alla maggioranza attraverso la tattica rivoluzionaria. (…) L’insurrezione di ottobre non ha rappresentato soltanto la reale salvezza della rivoluzione russa, ma anche la riabilitazione del socialismo internazionale. [2]
In verità la Luxemburg non fece altro che mettere sempre e comunque in evidenza il punto essenziale: la rivoluzione russa era scoppiata in un paese capitalisticamente arretrato. Se non si fosse immediatamente estesa al resto d’Europa avrebbe potuto soccombere o cadere in una serie di deformazioni. Questo era il genio: non serviva entusiasmarsi della rivoluzione, era necessario accorrere in suo aiuto. Anche quando essa attribuì degli errori ai bolscevichi, li considerò il prodotto inevitabile dell’isolamento della rivoluzione in un paese arretrato. Il nocciolo del problema stava nell’immobilismo delle direzioni europee del movimento operaio. Scrisse in una lettera rivolta alla moglie di Kautsky:
Ti rallegri dei russi? Naturalmente non potranno reggere in questo sabba di streghe, non perché la statistica dimostra uno sviluppo economico arretrato della Russia, come ha calcolato il tuo giudizioso marito [Karl Kautsky], ma perchè la socialdemocrazia di questo occidente altrimenti sviluppato è composta di miserabili vigliacchi e lascerà dissanguare i russi, stando tranquillamente a guardare. Ma uno sterminio simile è meglio che “restare in vita per la patria”, è un atto di importanza storica mondiale, la cui traccia non tramonterà nei secoli.[3]
Ribadì il concetto nel famoso articolo La tragedia della rivoluzione russa:
La rappresentazione di una politica rivoluzionaria senza errori, per di più in una situazione del genere, assolutamente senza precedenti, è così assurda da essere degna soltanto di un maestro di scuola tedesco. (…) La fatale situazione, però, nella quale si trovano oggi i bolscevichi, così come la maggior parte dei loro errori, è una conseguenza della fondamentale irrisolubilità del problema di fronte al quale li ha posti il proletariato internazionale, in prima linea quello tedesco. (…) La colpa degli errori dei bolscevichi la porta in ultima analisi il proletariato internazionale e innanzitutto la bassezza pertinace e senza precedenti della socialdemocrazia tedesca, di un partito che in pace pretendeva di marciare alla testa del proletariato mondiale, presumeva indottrinare e guidare tutto il mondo, contava nel proprio paese almeno dieci milioni di aderenti di ambo i sessi, e ora da quattro anni crocifigge ventiquattro ore al giorno il socialismo come lanzichenecchi medioevali agli ordini delle classi dominanti. (…) C’è solo una soluzione alla tragedia nella quale è finita la Russia: l’insurrezione alle spalle dell’imperialismo tedesco, la sollevazione delle masse tedesche, come segnale per una conclusione rivoluzionaria su scala internazionale del genocidio. [4]
Ma quali erano questi famosi errori dei bolscevichi? Non certo quello di aver preso il potere prematuramente o avventatamente. Per Rosa Luxemburg, anche in caso di sconfitta, la rivoluzione bolscevica sarebbe rimasta uno schiaffo fondamentale al burocratismo socialdemocratico e a tutta “l’Internazionale sopita”. Del resto l’obiettivo non era quello di vincere e consolidare il socialismo in un paese solo: con il proprio esempio la rivoluzione russa doveva essere il primo anello della catena della rivoluzione mondiale. In questo il suo pensiero era sovrapponibile a quello di qualsiasi dirigente bolscevico del periodo. Esistono centinaia di dichiarazioni di Lenin che testimoniano l’importanza data dai bolscevichi all’estensione internazionale della rivoluzione:
Siamo lontani dall’aver completato anche il periodo di transizione dal capitalismo al socialismo. Non abbiamo mai nutrito la speranza di arrivarci senza l’aiuto del proletariato internazionale. (…) Ora possiamo vedere fino a che punto andrà lo sviluppo della Rivoluzione. L’ha iniziata il russo; la finiranno il tedesco, il francese e l’inglese e la rivoluzione sarà vittoriosa. [5]
Né agli occhi di Rosa Luxemburg era da considerarsi un errore l’aver posto all’ordine del giorno il socialismo in un paese economicamente arretrato. La presa del potere da parte del proletariato russo non solo era possibile a dispetto di tale arretratezza, ma era l’unica via per uscirne. Per le particolarità dello sviluppo storico, la rivoluzione russa poteva assolvere i compiti borghesi solo in contrapposizione alla borghesia stessa:
La Rivoluzione russa è l’avvenimento più importante della guerra mondiale. (…) è anche una prova convincente contro la teoria dottrinaria che Kautsky condivide col partito dei socialisti governativi, secondo la quale la Russia, in quanto paese economicamente arretrato e prevalentemente agricolo, non sarebbe matura per la rivoluzione sociale e per una dittatura esercitata dal proletariato. Questa teoria, che ritiene lecita in Russia esclusivamente una rivoluzione borghese – e da questa concezione risulta poi anche la tattica di coalizione dei socialisti russi col liberalismo borghese – è la stessa dell’ala opportunista del movimento operaio russo: dei cosiddetti menscevichi (…). La rivoluzione russa – un prodotto dello sviluppo internazionale e della questione agraria – non offre tuttavia possibilità di soluzioni nel quadro della società borghese. (…) L’andamento della guerra e della rivoluzione russa hanno provato non l’immaturità della Russia ma quella del proletariato tedesco nell’assolvimento dei propri compiti storici e il rilevarlo con tutta chiarezza non rappresenta che il primo ed elementare dovere di un esame critico della rivoluzione russa. (…) Le sue sorti dipendevano pienamente dagli avvenimenti internazionali. Che i bolscevichi fondassero completamente la loro politica sulla rivoluzione mondiale del proletariato è veramente la più splendida testimonianza della loro lungimiranza politica e della loro saldezza di principi. [6]
Si tratta praticamente della stessa posizione contenuta nelle Tesi di Aprile di Lenin o postulata dalla teoria della rivoluzione permanente di Trockij. Su quali punti quindi si manifestarono divergenze e quale fu la loro reale profondità? Vi fu una parte di ragione nelle osservazioni della Luxemburg e, in ogni caso, forniscono la base per una visione organicamente alternativa della rivoluzione? I punti di criticità riguardarono a grandi linee la questione dell’autodeterminazione delle nazioni, la riforma agraria, la restrizione di alcuni diritti democratico-borghesi, a partire della cosiddetta libertà di stampa, e la firma della pace di Brest Litvosk tra Russia e Germania.
Esiste un testo della Luxemburg, pubblicato con il nome La rivoluzione russa, dove sono esplicitate tali divergenze e che è da sempre la bibbia del luxemburghismo antibolscevico. Ma quale è la vera storia di questo testo? Innanzitutto esso fu pubblicato postumo: non solo in vita Rosa Luxemburg non spinse per renderlo pubblico, ma addirittura accettò esplicitamente che avvenisse il contrario. Le osservazioni che vi sono contenute maturarono in prigione nelle circostanze che abbiamo già descritto. Quando Paul Levi, allora militante comunista e suo avvocato, la andò a trovare in carcere e la pregò di desistere da una loro pubblicazione prematura, Rosa accettò; fatto inconcepibile se non fosse stata indecisa sulla validità del proprio scritto. Non era tipo che si lasciava imporre censure o che desisteva dall’esporre il proprio punto di vista per ragioni diplomatiche Quando dopo la sua morte il suo appartamento fu devastato dai paramilitari dei Freikorps, Jogiches e Clara Zetkin ritrovarono dei foglietti scritti a mano mezzi rovinati contenenti tali osservazioni sulla rivoluzione russa. Jogiches, il compagno di una vita e suo morale esecutore testamentario, fu categorico rispetto al fatto che non andassero pubblicate “ma non per riguardo agli amici bolscevichi, ben in grado di sopportare critiche, ma per rispetto a Rosa che aveva modificato le proprie idee e non intendeva pubblicare quelle note.” [7] Quando invece nel 1922 Paul Levi ruppe con il partito comunista, decise di dare alle stampe il materiale in suo possesso. Fatto ancora più grave: egli si permise di completare i periodi mozzati, le abbreviazioni e di ricostruire le citazioni poco chiare. Qualche anno dopo, il confronto tra la pubblicazione di Levi e il manoscritto della Luxemburg rivelò diverse incongruenze. Ciononostante questo documento divenne unanimemente riconosciuto dagli storiografi stalinisti e riformisti come il testo fondamentale della Luxemburg. Essi si comportarono come qualcuno che, di fronte ad una grande tavola imbandita, rovista negli scarti del banchetto per il puro gusto del contatto con la spazzatura.
Ne La Rivoluzione russa Rosa affrontava innanzitutto l’annosa questione del diritto all’autodeterminazione delle nazioni:
Che la sconfitta militare si sia trasformata nel crollo e nella disgregazione della Russia è in parte colpa dei bolscevichi. Questi si sono da se stessi appesantiti oltre misura le difficoltà obiettive della situazione attraverso una parola d’ordine che hanno spinto in prima linea nella loro politica: il cosiddetto diritto all’autodeterminazione nazionale, o ciò che in realtà sta sotto questo slogan: la disgregazione statale della Russia. (…) i bolscevichi, attraverso la rimbombante fraseologia nazionalistica del “diritto di autodeterminazione sino alla separazione statale”, non hanno fatto che prestare alla borghesia di tutti i paesi di confine il pretesto più propizio e più splendido, addirittura la bandiera per le loro aspirazioni controrivoluzionarie. [8]
A furia di polemizzare su questo tasto, la Luxemburg aveva finito di fatto per invertire il nesso causa-effetto. E’ innegabile che gli imperialisti si servirono senza pudore dei nazionalismi delle minoranze oppresse, ed in particolare di quello polacco e ucraino, per smembrare la repubblica sovietica. Ma tali nazionalismi, lungi dall’essere il risultato del programma bolscevico, erano il risultato di secoli di oppressione zarista. Non furono i bolscevichi a creare le spinte nazionaliste di cui si servì l’imperialismo, ma la loro condotta fu semmai determinata dall’esistenza di tali spinte. Bastava porre la domanda al contrario: cosa avrebbero dovuto fare i bolscevichi di fronte alle enormi tendenze centrifughe sprigionatesi dopo la caduta dello zarismo, se non dichiarare il diritto delle nazioni oppresse ad autodeterminarsi? L’alternativa era una sola: reprimere qualsiasi minoranza chiedesse tale diritto e rinverdire così i fasti del nazionalismo russo. Fu tra l’altro proprio Stalin a riesumare per primo tale pratica quando nel 1922 usò il pugno duro sulla questione nazionale con i comunisti georgiani suscitando la reazione preoccupata di Lenin.
Ma il punto più noto del documento della Luxemburg è quello in cui si riferisce alla politica adottata dai bolscevichi sotto il cosiddetto comunismo di guerra, attribuendo loro un “freddo dispregio di fronte all’Assemblea Costituente, al suffragio universale, alla libertà di stampa e di riunione, in breve a tutto l’apparato delle fondamentali libertà democratiche delle masse popolari”. [9] A dire il vero, la politica bolscevica di quel periodo non fu determinata né da freddo dispregio, né da alcun principio teorico. Come spiegò Trockij, fu il semplice tentativo di sopravvivere in mezzo alla guerra scatenata dalla controrivoluzione:
I primi tre anni che seguirono la rivoluzione furono di guerra civile aperta ed accanita. La vita economica fu interamente subordinata ai bisogni del fronte. Data l’estrema limitatezza delle risorse la vita culturale era molto ridotta (…). E’ il periodo definito “comunismo di guerra” (1918-1921). (…) Il comunismo di guerra era in fondo una regolamentazione del consumo in una fortezza assediata. [10]
Tutti i provvedimenti presi in quegli anni furono concepiti dagli stessi bolscevichi come transitori: misure eccezionali in uno stato di guerra che nessuno avrebbe mai osato elevare a sistema. Furono il portato delle condizioni concrete della prima rivoluzione proletaria vittoriosa assediata dalla rabbiosa reazione di tutta la borghesia mondiale. Lenin specificò come in altre condizioni non sarebbe stato nemmeno necessario limitare il diritto elettorale dei ricchi e dei borghesi:
la privazione del diritto di voto per gli sfruttatori è un problema puramente russo, che non concerne la questione della dittatura del proletariato in generale. (…) Questo problema deve essere affrontato, studiando le condizioni particolari della rivoluzione russa, il corso particolare del suo sviluppo. (…) Ma sarebbe un errore affermare in anticipo che le imminenti rivoluzioni proletarie d’Europa, tutte o la maggior parte di esse, apporteranno immancabilmente una restrizione del diritto di voto per la borghesia. [11]
In ogni caso la Russia del 1918, nonostante la guerra civile, continuava ad essere una democrazia infinitamente più sviluppata di qualsiasi altra democrazia borghese e lontana anni luce dal successivo regime stalinista. Come sarebbe altrimenti spiegabile la vittoria stessa della guerra civile se le masse non avessero avuto la sensazione di difendere il proprio sistema? Come spiegò Lenin:
La democrazia proletaria, di cui il potere sovietico è una delle forme, ha dato alla stragrande maggioranza della popolazione, agli sfruttati e ai lavoratori, un’estensione e uno sviluppo della democrazia che non hanno precedenti nel mondo. (…) Il potere sovietico è il primo nel mondo (…) a impegnare le masse e proprio le masse sfruttate nella gestione dello Stato. (…) La libertà di stampa cessa di essere un’ipocrisia perchè le tipografie e la carta vengono tolte alla borghesia. Lo stesso accade dei migliori edifici, palazzi, ville, dimore signorili. Il potere sovietico ha requisito subito agli sfruttatori migliaia di questi edifici e ha reso così un milione di volte più democratico il diritto di riunione per le masse, quel diritto di riunione senza il quale la democrazia è un inganno. [12]
Se i bolscevichi si allontanarono da questo modello, lo fecero sotto il peso dello sviluppo concreto degli avvenimenti. Ogni passo indietro fu chiamato apertamente con il suo nome, nelle parole di Lenin,“una deviazione dai principi della Comune di Parigi e di ogni potere proletario” e fu considerato totalmente provvisorio: la necessità di sopravvivere in vista della rivoluzione internazionale. Ma cosa conosceva Rosa Luxemburg nel 1918 del contesto concreto della rivoluzione? E’ lecito ipotizzare molto poco. Ad esempio definì i provvedimenti bolscevichi sulla libertà di stampa come una restrizione dei diritti “delle masse popolari”. Come ogni marxista, la Luxemburg non poteva considerare di certo le grandi testate giornalistiche in mano al grande capitale come l’espressione “delle masse popolari”. Eppure in Russia erano tali testate ad essere soppresse a favore di giornali comunitari in mano ai lavoratori, come dimostra il progetto di risoluzione sulla stampa di Lenin:
La borghesia ha inteso per libertà di stampa la libertà di edizione dei giornali per i ricchi, la conquista della stampa da parte dei capitalisti, conquista che di fatto ha portato in tutti i paesi, ivi compresi i più liberi, alla venalità della stampa. Il governo operaio e contadino per libertà di stampa intende la liberazione della stampa dal giogo del capitale, il passaggio in proprietà dello Stato delle cartiere e delle tipografie, l’attribuzione a qualsiasi gruppo di cittadini che raggiunga un certo numero (per esempio 10.000) del diritto di utilizzare, su basi di parità, una parte di riserve di carta e una corrispondente quantità di lavoro tipografico.[13]
Se il progetto fu in parte abbandonato è perché la guerra civile, come già detto, risucchiò tutte le risorse economiche e umane per fini militari. Ma anche in quel caso gli organi di stampa delle forze politiche passate armi e bagagli al servizio della controrivoluzione armata continuarono ad essere garantiti per un certo periodo. Come testimoniò Victor Serge:
La dittatura del proletariato esitò lungamente prima di sopprimere la stampa nemica. Dopo l’insurrezione [controrivoluzionaria] non furono soppressi che i giornali borghesi che sostenevano apertamente la resistenza armata contro “l’usurpatore bolscevico”, contro la “sanguinosa anarchia”, contro il “colpo di stato degli agenti del Kaiser”. Solo nel luglio 1918 furono soppressi gli ultimi organi della borghesia e della piccola borghesia. La stampa legale dei menscevichi non scomparve che nel 1919; quella degli anarchici ostili al regime e dei massimalisti comparve fino al 1921; quella dei socialisti rivoluzionari di sinistra, ancora più tardi. [14]
La mancanza di conoscenza da parte di Rosa Luxemburg del dibattito interno alla repubblica sovietica si riflesse chiaramente nella posizione presa riguardo alla pace di Brest Litovsk, siglata tra Russia e Germania. Rosa accusò i bolscevichi di aver rafforzato con tale trattato la posizione del militarismo tedesco, rallentando lo sviluppo della rivoluzione tedesca. Nell’articolo La tragedia della rivoluzione russa, arrivò addirittura a prospettare una futura entrata in guerra della Russia sovietica a fianco della Germania del Kaiser:
E ora minaccia i bolscevichi come situazione conclusiva del loro calvario la cosa più spaventosa: come uno spettro lugubre si approssima una lega dei bolscevichi con la Germania! (…) In questo modo la Rivoluzione russa sarebbe scaraventata dalla guerra mondiale, alla quale voleva sfuggire a ogni costo, solo al polo opposto: dal fianco dell’Intesa sotto lo zar, al fianco della Germania sotto i bolscevichi! [15]
I bolscevichi furono costretti alla resa nei confronti della Germania solo dallo stato di smobilitazione in cui si trovava il proprio esercito. Temporeggiarono a lungo prima di firmare la pace, per paura di essere accusati dalla propaganda internazionale di connivenza con l’imperialismo tedesco. A lungo tennero la posizione definita da Trockij: “Nè pace, né guerra”. Quando infine la Germania riprese la propria offensiva e occupò grossa parte del territorio sovietico, arrivando a conquistare quasi tutta l’Ucraina, allora i bolscevichi si decisero a firmare la pace: il proletariato internazionale aveva avuto la dimostrazione che l’esercito sovietico si arrendeva sotto il peso dei rapporti di forza militari. L’avanzata austro-tedesca sottrasse alla repubblica sovietica il 40% della forza lavoro industriale, il 90% della produzione di combustibile, il 90% dell’industria zuccheriera, il 65-70% della metallurgia, il 50% del frumento.[16] Quale altro paese avrebbe sacrificato simile ricchezza materiale per salvare l’onore internazionale della rivoluzione? A riguardo Rosa Luxemburg era totalmente fuori strada. Lodò gli attentati terroristici dei socialisti rivoluzionari di sinistra, che uccisero l’ambasciatore tedesco per dare un pretesto alla Germania con cui rompere la pace e riprendere l’offensiva. Il suo articolo sulla pace di Brest, tra l’altro, venne pubblicato sulle Lettere di Spartaco del settembre 1918. Nello stesso mese il fronte militare occidentale tedesco crollò e iniziò quel processo che appena due mesi dopo avrebbe visto in Germania la creazione dei consigli di operai e soldati sul modello russo. Questo era quanto i bolscevichi avevano contribuito a rafforzare l’imperialismo tedesco!
Giuste o sbagliate che fossero, le osservazioni della Luxemburg muovevano in ogni caso da preoccupazioni assolutamente genuine. Innanzitutto essa temeva che l’enorme autorità da cui erano circondati i bolscevichi portasse le altre forze internazionali del marxismo ad un atteggiamento acritico nei loro confronti. In una lettera all’amico e marxista polacco Warszawski, si espresse in questi termini:
Se il nostro partito (l’SDKPiL) è pieno di entusiasmo per il bolscevismo e in pari tempo ha preso posizione contro la pace di Brest dei bolscevichi e la loro agitazione con la parole d’ordine dell’ “autodeterminazione dei popoli” allora si tratta di entusiasmo appaiato a spirito critico – che cosa possiamo desiderare di meglio? [17]
Uno stato di approvazione acritica non era tra l’altro desiderabile né desiderato dallo stesso bolscevismo. Lenin pregò sempre gli altri partiti comunisti di elogiare di meno i bolscevichi e studiarli di più per poterli criticare. In secondo luogo Rosa Luxemburg aveva paura che la politica del comunismo di guerra potesse determinare una deformazione burocratica della rivoluzione:
E’ incondizionatamente necessario un controllo pubblico. Altrimenti lo scambio di esperienze stagna nel cerchio chiuso dei funzionari del nuovo governo. Corruzione [diventa a quel punto] inevitabile. (…) Nessuno lo sa meglio, lo descrive con più efficacia, lo ripete più caparbiamente di Lenin. (…) Ma col soffocamento della vita politica in tutto il paese anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa. (…) La vita pubblica s’addormenta poco per volta, alcune dozzine di capipartito d’inesauribile energia e animati da un idealismo sconfinato dirigono e governano; (…) e un’elité di operai viene di tempo in tempo convocata per battere le mani ai discorsi dei capi, votare unanimemente risoluzioni prefabbricate: in fondo dunque un predominio di cricche, una dittatura, certo; non la dittatura del proletariato, tuttavia, ma la dittatura di un pugno di politici.[18]
Si trattò in parte di un errore e in parte di una grande intuizione. Non era corretto presentare le misure del comunismo di guerra come le cause dirette di un’eventuale burocratizzazione. Se la violenza usata dalla rivoluzione per difendersi dalla controrivoluzione fosse di per sé causa di degenerazione, dovremmo coerentemente trarne tutte le conclusioni. Dovremmo negare il diritto di qualsiasi lotta popolare alla pura e semplice autodifesa. Agli oppressi non rimarrebbe che porre sempre e comunque l’altra guancia. Ma siccome sia la degenerazione sia la rinuncia all’autodifesa determinano a lungo andare la sconfitta di una rivoluzione proletaria, temiamo che entrambe le strade porterebbero alla rinuncia stessa alla rivoluzione. Se qualche luxemburghiano è giunto a tali conclusioni l’ha fatto con le proprie gambe e non di certo con quelle della povera Luxemburg. L’unico punto di contatto tra il comunismo di guerra e la successiva degenerazione stalinista è che entrambi questi processi furono generati dai rapporti di forza tra le classi interni ad una rivoluzione rimasta isolata in un paese economicamente arretrato. Ovviamente la vita militarizzata del comunismo di guerra fu un brodo di coltura ideale per la burocrazia. Un’arma può servire a fermare un ladro o a compiere una rapina. Per la propria autodifesa la rivoluzione fu costretta a forgiare alcuni metodi di cui lo stalinismo riuscì ad impossessarsi facilmente. Ma la domanda vera è questa: la rivoluzione bolscevica avrebbe potuto evitarli? In un certo senso avrebbe potuto farlo solo se aiutata da una rivoluzione internazionale. Questa fu la grande intuizione di Rosa, questa la sua genialità: sola, priva di notizie di prima mano, in carcere, già nell’estate del 1918 voleva mettere l’accento sul fatto che lasciata a sé stessa, senza un’estensione a livello internazionale, la rivoluzione russa era destinata a soccombere o a degenerare burocraticamente. Questa era in fondo la stessa posizione di Lenin che dedicò non a caso gli ultimi anni della sua vita alla lotta contro l’ascesa della casta burocratica guidata da Stalin.
Infine basta lasciar parlare e agire Rosa Luxemburg per comprendere la natura delle sue divergenze con il bolscevismo. I suoi appunti di prigione, la punta critica massima verso la politica bolscevica, si concludevano così:
I bolscevichi hanno mostrato che essi possono tutto quanto un partito schiettamente rivoluzionario è in grado di fare nei limiti delle possibilità storiche. Essi non devono voler fare dei miracoli. Perchè sarebbe un miracolo una rivoluzione proletaria modello in un paese isolato, esaurito dalla guerra mondiale, strangolato dall’imperialismo e tradito dal proletariato internazionale. Ciò che conta è distinguere nella politica dei bolscevichi l’essenziale dall’inessenziale, il nocciolo dal fortuito. In quest’ultimo periodo, in cui ci troviamo in tutto il mondo alla vigilia di lotte mortali decisive, il problema più importante del socialismo è stato ed è la scottante questione del giorno: non questo o quel dettaglio di tattica, ma la capacità d’azione del proletariato, l’energia delle masse, in generale la volontà di potenza del socialismo. Da questo punto di vista i Lenin e i Trockij con i loro amici sono stati i primi a dare l’esempio al proletariato mondiale, e sono tutt’ora gli unici, che con Hutten possano esclamare: “Io l’ho osato!”. Questo è quanto di essenziale e duraturo vi è nella politica bolscevica. In questo senso è loro l’imperituro merito storico di essere passati all’avanguardia del proletariato internazionale con la conquista del potere politico e l’impostazione pratica del problema della realizzazione del socialismo, e di aver potentemente contribuito alla resa dei conti tra capitale e lavoro in tutto il mondo. In Russia il problema poteva solo essere posto. Non vi poteva esser risolto: esso può essere risolto solo internazionalmente. E in questo senso l’avvenire appartiene dovunque al “bolscevismo”.[19]
Inoltre nella successiva rivoluzione tedesca, e in particolare riguardo all’Assemblea Costituente, la politica di Rosa Luxemburg fu totalmente analoga a quella dei bolscevichi. Tornata in libertà, scrisse ancora a Warszawski, uno dei suoi compagni più stretti e leali:
Anch’io ho condiviso tutte le tue riserve e i tuoi dubbi, ma nelle questioni essenziali me ne sono sbarazzata e in altre non mi sono spinta lontano quanto hai fatto tu. Il terrore[20] è prova di gran debolezza, certo, ma esso è diretto contro i nemici interni che fondano le loro speranze sul capitalismo che esiste fuori dalla Russia, dal quale ricevono appoggio e incoraggiamento. Se si fa la rivoluzione in Europa, i controrivoluzionari russi non perderanno solo il loro appoggio ma, fatto ancor più importante, anche il coraggio. Il terrore bolscevico è quindi soprattutto espressione della debolezza del proletariato europeo. Certo, i rapporti agrari che sono stati creati costituiscono il punto più pericoloso e debole della rivoluzione russa. Ma anche in questo caso vale il detto: anche la più grande delle rivoluzioni può realizzare soltanto ciò che è maturato attraverso (lo sviluppo delle) circostanze sociali. Anche questa debolezza può essere superata solo attraverso la rivoluzione europea. E questa sta per venire! [21]
Warszawski stesso, conoscendola come poche persone al mondo, fornì forse il giudizio migliore sul documentoLa rivoluzione russa:
le opinioni espresse da Rosa Luxemburg nel suo opuscolo non furono più le sue a partire dalla rivoluzione di novembre in Germania fino alla sua morte. Ma, nonostante gli errori e le incompiutezze del suo lavoro, questo breve scritto rimane un’opera rivoluzionaria. Infatti la critica di Rosa Luxemburg si differenzia da ogni critica opportunista per il fatto che non danneggia mai la causa e il partito della rivoluzione; al contrario essa non può che dar loro un impulso e favorirli, proprio perchè è una critica rivoluzionaria. [22]
[1] PETER NETTL, Op. Cit., p. 509.
[2] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004, p.56.
[3] ROSA LUXEMBURG, Lettere ai Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1971. p.275.
[4] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004, p.35.
[5] TED GRANT, Russia dalla rivoluzione alla controrivoluzione, Ac editoriale, Milano, 1998.
[6] Ivi, p. 46.
[7] ROSA LUXEMBURG, Scritti scelti, Edizioni Avanti!, Milano, 1963. pp.557-561.
[8] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004.
[9] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004, p. 63.
[10] LEV TROCKIJ, La rivoluzione tradita, Ac editoriale, Milano, 2000, p. 97.
[11] LENIN, Il rinnegato Kautsky, Editori Riuniti, Roma, 1969, p.43.
[12] Ivi, pp.30-33.
[13] LENIN, L’informazione di classe, Guaraldi Editore, Rimini, 1972, p.188.
[14] VICTOR SERGE, L’anno primo della rivoluzione russa, Giulio Einaudi, 1991, Torino, p. 87.
[15] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004, p. 27-29-31,
[16] Dati tratti da VICTOR SERGE, L’anno primo della rivoluzione russa, Giulio Einaudi, 1991, Torino, p. 184.
[17] PETER NETTL, Op. Cit., p.539.
[18] ROSA LUXEMBURG, La rivoluzione russa, Massari Editore, Bolsena (VT), 2004, pp. 79-84.
[19] Ivi, p.88.
[20] Il termine prende il nome dal periodo giacobino della rivoluzione francese, detto anche il periodo del “terrore”. In questo caso si intende la difesa della rivoluzione con mezzi violenti.
[21] PETER NETTL, Op. Cit., p. 539.
[22] Ivi, p.540.