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In questo articolo si analizza come nell’Inghilterra del 1920 le condizioni create dalla guerra abbiano favorito l’accelerazione dell’organizzazione di movimenti di lotta sia fra i lavoratori che fra i soldati arruolati nell’esercito, in larga misura reclutati tra la classe operaia. Questi movimenti, dapprincipio caratterizzati da grande spontaneità e da ripetute sconfitte dovute soprattutto agli ostacoli economici e organizzativi e all’ostruzionismo delle organizzazioni sindacali, crebbero insieme alle necessità delle masse; l’analisi delle mobilitazioni dimostra il chiaro carattere combattivo di coloro che vi presero parte: la classe proletaria inglese rifiutava la burocratizzazione e le soluzioni mediate a tavolino nelle stanze parlamentari. La volontà di autorganizzazione delle masse operaie permise alle mobilitazioni di questo periodo di dare vita alla costituzione di commissioni e consigli di fabbrica con funzioni via via più articolate, battendo sulla lunghezza le organizzazioni sindacali paralizzate dalle leggi antiliberali e limitative – volute dal governo inglese – e dalla loro stessa natura concertativa.
Per intendere appieno il valore e il significato dei nuovi aspetti che viene assumendo la lotta di classe nella Gran Bretagna, occorre considerare le condizioni speciali nelle quali venne a trovarsi durante la guerra la classe lavoratrice in seguito all’azione governativa e al contegno dei capi delle grandi organizzazioni di mestiere.
Accettando il mito della “guerra di difesa” i dirigenti ufficiali delle Trade Unions[1] accettarono la sospensione delle leggi protettrici del lavoro, delle libertà sindacali, degli scioperi. La lotta di classe doveva far posto alla cooperazione delle classi. Questo era lo spirito delle disposizioni emanate dal governo di coalizione per garantire la continuità della produzione industriale bellica, che culminarono nel Munitions Act (legge per la produzione di proiettili), e nel Defense of Realm Act (legge per la difesa del Regno), e in conformità di esse i dirigenti delle grandi organizzazioni professionali di mestiere nei congressi de1 1917 e 1918 accettarono come base del loro programma il Rapporto Whitley, che progettava un’opera di collaborazione di classe, da esplicarsi attraverso un sistema di comitati misti di operai e industriali fino a un supremo Consiglio nazionale.
Combattuta dal governo e sconfessata dai dirigenti la lotta di classe continuò però a svolgersi anche durante gli anni di guerra. Gli scioperi ebbero luogo egualmente, specie tra i minatori del Galles meridionale, e tra gli operai delle officine navali della Clyde[2] (Scozia); s’intende che, privi del sostegno delle organizzazioni ufficiali, gli operai furono costretti a dar vita a nuove forme associative, atte a soddisfare i nuovi loro bisogni. Avvenuta la firma dell’armistizio agitazioni e scioperi si estesero improvvisamente a tutta la Gran Bretagna, assumendo forme nuove per il proletariato inglese, facendo capo a organismi foggiatisi durante la guerra e a contatto diretto con la massa vivente e insoddisfatta degli operai.
Il 3 di gennaio 1919 si ammutinarono o meglio fecero improvvisamente sciopero i soldati accentrati a Folkestone. Essi erano circa 10.000, e rifiutando di imbarcarsi per il continente essi manifestarono chiaramente il loro desiderio di essere prontamente smobilitati. Con un ordine e una disciplina meravigliosi essi occuparono il porto, lasciando liberi di partire soltanto i trasporti australiani e canadesi. Gli ·ufficiali che cercarono di opporsi al movimento furono presto ridotti alla nozione della loro impotenza. Da Londra furono mandati contro i ribelli degli altri soldati, ma si ottenne un effetto contrario a quello che si desiderava. Si dovettero iniziare trattative e perciò si dovettero formare, da una parte e dall’altra dei «Consigli di soldati», che i generali furono costretti a riconoscere, promettendo il soddisfacimento dei desideri dei loro uomini, e cioè: smobilitazione immediata di tutti i soldati che sono in grado di procurarsi immediatamente un’occupazione, una settimana di congedo agli altri perchè se la possano trovare, rifiuto di partire per la Russia e per Salonicco. Accettate queste condizioni i generali invitano i soldati a rientrare nelle caserme aspettando l’esaurimento delle pratiche per la smobilitazione, ma essi si rifiutano, vogliono occuparsi essi personalmente di ogni pratica, eleggono un centinaio di impiegati, e in 24 ore tutti i documenti sono regolarmente compilati e pronti.
Fatti simili avvennero pure a Douvres, ShortlandsSydenharn, Aldershot, Chatham, Bristol e in altri campi di concentramento di militari, ed è soprattutto da segnalare la costituzione dei Consigli dei soldati, che avvenne dappertutto per iniziativa degli operai sindacati. Non vi era nell’esercito inglese una percentuale dell’80 o 90 per cento di organizzati, impiegati e operai? E’ naturale che lo spirito di solidarietà e di associazione non dovesse venir meno in essi durante la guerra; così si spiega l’esistenza di Trade Unions, cioè di organizzazioni di resistenza tra soldati, le quali fin dal tempo di guerra si estendevano clandestinamente a tutte le forze armate.
Altri movimenti con gli stessi caratteri si produssero nel campo civile. Tale fu lo sciopero dei costruttori navali di Belfast e della Clyde, che fu generale per più di tre settimane. La vita ordinaria fu completamente arrestata, e all’alimentazione della città provvidero esclusivamente dei Consigli di operai.
Nella Clyde gli scioperanti non chiedono solo la settimana di 40 ore, ma vogliono modifìcare l’intima struttura del trade-unionismo. Lo sciopero non è sostenuto ufficialmente dai sindacati e dai loro segretari, ma è sorto spontaneamente nella massa operaia dei carpentieri, calderai, fucinatori, ecc. Il movimento è guidato dagli shop stewards cioè dai «commissari di reparto» e in tutta la regione si organizzano dei comitati di officina e si nominano dei commissari di reparto. Riunendosi essi formano dei consigli locali, e dei superiori consigli mandamentali. Alla sommità di questo organismo federativo in formazione figura un “Comitato centrale misto”, composto di rappresentanti del Congresso delle trade-unions della Scozia, di diversi consigli di sindacati e di consigli di commissari di reparto. Come si vede, antiche e nuove organizzazioni fraternizzano e operano concordi, e si cerca di attuare preventivamente un principio di azione diretta.
I capi ufficiali dcl trade-unionismo ortodosso sconfessarono il movimento, qualificandolo come bolscevico e del resto, nelle dimostrazioni pubbliche veniva issata la bandiera rossa. Nel mese di febbraio incominciarono i conflitti e le persecuzioni, il movimento parve, dapprima estendersi ma poi i lavoratori della Clyde dovettero cedere per mancanza di fondi, negati loro dalle organizzazioni ufficiali. Riprendendo il lavoro essi dichiararono di prepararsi per il giorno in cui, avendo perfezionato l’organizzazione su di una base nazionale, essi saranno in grado di realizzare i loro desideri mediante uno sciopero generale nazionale, ufficialmente riconosciuto dalle federazioni.
Per ora il movimento è ancora confuso. Anche a Londra 15.000 operai del porto debbono cedere perché i sindacati negano loro i mezzi di resistenza. E così in altri luoghi. Gli scioperi nascono sporadicamente, durano poco e cessano senza che gli operai siano riusciti a realizzare i loro desideri. A guardare solo l’esteriorità delle cose, pare che il proletariato corra di sconfitta in sconfitta; esso ha contro di sé le forze dei padroni e del governo e la cattiva volontà dei funzionari sindacali, avversari di ogni movimento che non sia decretato da loro. Ma se ben si guarda, si riconosce che questi scioperi sono indizio di un nuovo stato d’animo delle masse, d’una nuova tendenza che si forma negli ambienti operai. Si è perduta la fiducia nelle soluzioni per via parlamentare dei conflitti di classe, e si è anche perduta la fiducia nei funzionari, nella burocrazia dei sindacati. Si pensa all’azione diretta come al più valido mezzo per ottenere i propri scopi, si pensa che è meglio occuparsi direttamente dei propri affari che dare ad altri questo incarico.
Queste nuove condizioni e questi nuovi stati d’animo hanno favorito lo sviluppo del movimento dei commissari di reparto (shop stewards). Prima della guerra esistevano qua e là dei commissari di reparto. Eletti dagli operai di una stessa officina, le loro funzioni erano infinite: occuparsi degli operai nuovamente assunti per portarli nelle file del Sindacato; raccogliere le quote sindacali; convocare le assemblee di operai; fissare talora, d’accordo con i direttori dell’officina, il prezzo dei pezzi di lavoro; sorvegliare l’applicazione delle regole sindacali, e segnalare ai sindacati le infrazioni ad esse. Si erano pure formati dei Consigli di Commissari, ma senza una funzione determinata. Il movimento era embrionale: le condizioni create dalla guerra dovevano dargli una considerevole accelerazione e condurre in pochi anni alla realizzazione di ciò che avrebbe richiesto, in tempi di pace, parecchi anni di lotta.
Le disposizioni governative delle leggi per la produzione bellica e per la difesa del regno, sopprimendo le libertà sindacali e il diritto di sciopero portarono uno sconvolgimento nel meccanismo ufficiale delle federazioni. I funzionari sindacali non poterono più iniziar nessuna azione, perché ciò li esponeva alle rappresaglie del governo. In pari tempo sorgeva una quantità di questioni le quali richiedevano soluzioni urgenti: questioni relative a nuovi processi di lavorazione, al lavoro a cottimo, alla diminuzione volontaria del lavoro da parte di ogni operaio ecc. Le questioni variavano inoltre da officina a officina, e soltanto col sistema dei commissari eletti dagli operai stessi, esse potevano venire risolte senza troppo gravi attriti coi padroni. E allora i commissari si moltiplicarono, e la loro importanza crebbe. In questo modo le disposizioni governative antiliberali costrinsero gli operai a mutare la loro tattica, a rendere l’organizzazione più agile e più democratica.
Il movimento in breve acquistò carattere generale e si stabilirono relazioni tra gli organi sorti con carattere locale. Attualmente l’organizzazione è congegnata nel modo seguente: in ogni reparto gli operai di ogni genere di lavorazione eleggono dei commissari. Questi si riuniscono in una commissione di officina. Se in una stessa impresa industriale vi sono parecchie officine vi sono pure parecchie commissioni. Ogni commissione ha un segretario generale, un cassiere, e un capo convocatore. A queste cariche sono eleggibili tanto gli uomini che le donne. I convocatori eletti in questo modo si riuniscono, in ogni città e in ogni mandamento, per formare il consiglio locale dei commissari operai d’officina. Ogni consiglio locale elegge dei delegati il cui insieme forma un consiglio nazionale dei delegati operai di officina.
La base di questa organizzazione non è più il mestiere, ma è l’officina. Il lavoro fatto in comune nella stessa officina e nello stesso reparto, anche se è di differente natura, lega insieme gli uomini più che lo stesso lavoro compiuto in officine e in industrie differenti. L’organismo parte dall’individuo operaio per giungere per via di successivi raggruppamenti a un organo nazionale, che abbraccia tutti gli operai di tutte le industrie della nazione. E per operai si intendono anche gl’impiegati di ufficio, gli ingegneri, i capi servizio, i tecnici e i manovali.
I principi sui quali riposa quest’organizzazione sono: rappresentanza diretta degli operai, delle officine, e delle industrie nelle diverse commissioni. Controllo da parte degli operai di tutta l’azione dell’organizzazione. Azione diretta per ottenere la realizzazione dei desideri degli operai.
Gli scopi che si perseguono sono: esercizio d’un sempre maggior controllo sulle condizioni delle officine dal punto di vista del lavoro, dell’igiene ecc.; regolamento delle condizioni di impiego degli operai, organizzazione sopra una base di classe, lotta fino al completo trionfo degli interessi di classe.
L’organismo funziona nel modo seguente: i convocatori convocano tutte le assemblee e i consigli di officina; il segretario generale tiene la lista dei lavori a cottimo e delle loro condizioni, conserva i patti dei concordati con la ditta, raccoglie le informazioni professionali ecc. I commissari di reparto hanno l’obbligo di interrogare ogni nuovo operaio; se egli non è organizzato, viene immediatamente avvertito il convocatore d’officina, che viene pure avvertito di ogni lagnanza tratta da qualsiasi operaio. Se la questione è di piccola importanza viene trattata con il capo-reparto; se non si giunge a un accordo si raduna la commissione di fabbrica che esamina le lagnanze e se del caso, elegge una deputazione per trattare con la direzione della fabbrica. La deputazione deve sempre agire secondo le istruzioni della Commissione. Le decisioni ottenute in questo modo devono sempre essere sottoposte agli operai, che danno mandato ai delegati di accettarle o di respingerle. L’esplicazione di queste funzioni obbliga i diversi delegati ad abbandonare durante un certo tempo il lavoro, e queste ore vengono loro pagate dagli altri operai. Come si vede il potere esecutivo non risiede nè nelle commissioni, nè nei segretari o nei convocatori, ma nella massa degli operai che debbono ogni volta dare ai loro eletti un mancato esplicito.
Questa organizzazione è ormai giunta a un grado di sviluppo tale che permette di prevedere ch’essa si estenderà a tutto il proletariato inglese. Sorta nelle industrie metallurgiche, si è diffusa poi in quelle tessili ecc. Sua essenza è il principio federale. Essa si oppone al sistema tradizionale dei sindacati di mestiere e delle federazioni industriali, che hanno tendenze troppo centralizzatrici e burocratiche, che tendono a far passare il potere, dalle mani delle masse proletarie in quelle dei funzionari dei sindacati. Questi poi si burocratizzano, cessano di essere operaie e si adattano a vivere in ambienti differenti da quelli delle officine e dei laboratori. Essi cessano di prender parte alla vita operaia, e quindi di percepirne e conoscerne i bisogni; si allontanano dagli operai, mentre i commissari di reparto, di officina e di industria restano operai e tra operai continuano a vivere.
In Inghilterra questo movimento dei « consigli operai » è già importante al punto che alcuni consigli pubblicano opuscoli di propaganda, e giornali mensili e settimanali li difendono con calore. Tutti i protagonisti del movimento sono contrari al riconoscimento ufficiale dei consigli da parte dei sindacati, perchè credono che ciò limiterebbe la libertà di azione. Essi si propongono invece di trasformare gradualmente il sistema dei sindacati di mestiere fondendosi in essi, in modo da riunire tutti i salariati in una grande e unica organizzazione sindacale. L’organizzazione di officina diverrebbe allora la base di tutta la struttura industriale. Tutti gli aderenti al movimento hanno di mira il controllo sempre maggiore degli operai sull’industria per arrivare al fine ultimo della demolizione del capitalismo. Una piccola minoranza è ben cosciente della rivoluzione cui si dà inizio in questo modo. L’organizzazione operaia si edifica sulla base non più dello strumento che viene usato dall’operaio, ma del prodotto del suo lavoro. Vien meno in questo modo l’antagonismo tra le diverse categorie di operai di una stessa industria. Come tutti i salariati di un’officina, dal direttore fino al manovale che spazza i cortili, dagli ingegneri agli impiegati di ufficio e agli operai specializzati, sono uniti dalla loro solidarietà nel lavoro per dare ai consumatori prodotti buoni e belli, così pure essi sono uniti da comuni interessi, ben più forti di quanto non siano gli interessi che possono derivare dal fatto della differenziazione del loro lavoro.
Spaventati o seccati da questo movimento dei «Consigli di operai» alcuni dei dirigenti e degli organizzati stessi hanno attribuito la sua origine e il suo sviluppo ad «agitatori irresponsabili», cioè ad agitatori senza mandato, che utilizzano le male passioni delle folle. L’errore è completo e assoluto. Il movimento è sorto dal fondo delle masse operaie, ma naturalmente esso è stato favorito dai più ardenti militanti operai, dai più giovani ed entusiasti. Esso urta contro l’opposizione dei funzionari sindacali i quali dicono ch’esso è dell’anarchia; altri vi vedono un tentativo di sovvertire le «autorità stabilite»; altri infine pretendono ch’esso è la fine del movimento sindacale. Vero è che l’anarchia di questo movimento è quella che è contenuta nelle idee di libertà e di autogoverno, e che il principio sindacale vi è portato al massimo sviluppo, perchè la gestione degli affari tende a essere compiuta dall’insieme degli organizzati.
Queste opposizioni spiegano l’atteggiamento delle Trade-Unions di fronte agli scioperi recenti, e spiegano pure la posizione dei padroni. Essi che dapprima erano recisamente contrari al contratto collettivo e al riconoscimento dei sindacati, ma preferivano trattare con gli operai, oggi invece non vogliono più riconoscere altro che i sindacati e non vogliono saperne di trattare con gli operai. Gli è che con lo spirito burocratico che regna nei dirigenti le Trade-Unions essi sperano neutralizzare lo spirito rivoluzionario nascente nelle masse.
Il padronato cerca di impedire in ogni modo il movimento dei consigli operai, che gli sembra assai pericoloso per la società capitalistica. Nella sua opposizione esso ha l’appoggio del governo, tanto che il nuovo movimento non è solo corporativo ma ha pure delle tendenze politiche, perché uno dei mezzi per la realizzazione dei suoi fini è lo sciopero generale e la conquista rivoluzionaria del potere. In ciò specialmente si vede quanto sia cambiata, sotto l’influenza delle guerra, la mentalità del proletariato inglese.
(Da Uno studio sul movimento operaio inglese pubblicato da A. Hamon su L’ Avenir)
Note:
[1] Organizzazioni sindacali inglesi
[2] Baia scozzese formata dall’omonimo fiume