Il metodo comunista è il metodo della rivoluzione in permanenza. Bisogna intendere questa formula e adattarla a tutte le contingenze della vita proletaria. Per i comunisti, che concepiscono il mondo secondo i canoni del materialismo storico, nessuna istituzione è definitiva e assoluta: la storia è un perpetuo divenire, una creazione mai perfetta, un processo dialettico indefinito. Anche le istituzioni proletarie non sono definitive e assolute, e in tal senso non può esistere, nello Stato socialista, una «legalità» nel significato che la parola ha assunto nella pratica dei regimi finora succedutisi. La tattica comunista consiste perciò nel riconoscere con esattezza e spregiudicatamente il carattere essenziale dei vari momenti che bisogna attraversare nella lotta e aderire alle loro esigenze incoercibili (ha detto appunto Lenin che è necessario preoccuparsi del momento attuale concreto come dell’anello di una catena da foggiare e saldare al successivo).
R. X. non è in questo ordine di idee e parla di «mezzo» e di « fine ». La sua è una fraseologia empirica inaccettabile. Ciò che egli chiama «mezzo» è un momento storico necessario dell’istituzione che si vuol promuovere; necessario perché dipendente da condizioni reali obbiettive che non si possono mutare immediatamente con un atto della volontà individuale – ma immaturo, da considerarsi come la prima esperienza concreta, come un anello da foggiare solidamente per quindi saldarlo al successivo. Ciò che egli chiama «fine» è un momento di più intensa vita storica, di maggiore aderenza alla complessa realtà del mondo proletario che attua la sua idea: il comunismo; esso è stato raggiunto attraverso intime e preziose esperienze collettive, con i mezzi e i metodi propri della classe operaia, sbagliando, sia pure, ma anche imparando e realizzando, con l’esercizio assiduo delle intelligenze e delle volontà.
Cosi noi ci siamo posti e vogliamo prospettare e risolvere il problema delle Commissioni interne. Esso è, per noi, il primo anello della catena storica che conduce alla dittatura proletaria e al comunismo, per quanto riguarda gli operai d’officina. Pur nella forma rozza e primordiale con cui si presentano attualmente, esse rispondono a questo principio affermatosi nelle Rivoluzioni di Russia e di Ungheria: – La lotta di classe, nel periodo attuale della storia dell’industria capitalistica, si attua in un nuovo tipo di organizzazione proletaria che si basa sulla fabbrica e non sul mestiere, sull’unità di produzione e non sui Sindacati professionali nati dalla divisione del lavoro. Questo nuovo tipo di organizzazione, sviluppandosi, articolandosi, arricchendosi di funzioni ordinate gerarchicamente, costituisce l’impalcatura dello Stato socialista, lo strumento della dittatura proletaria nel campo della produzione industriale.
Nasce dal lavoro, aderisce al processo di produzione industriale, le sue funzioni sono funzioni di lavoro, in essa l’economia e la politica confluiscono, in essa l’esercizio della sovranità è tutt’uno con l’atto di produzione; in essa dunque si realizzano embrionalmente tutti i principi che informeranno la Costituzione dello Stato dei Consigli, in essa si realizza la democrazia operaia.
Nel momento attuale le Commissioni interne hanno una determinata forma. Come possono svilupparsi intimamente, come possono espandersi, come possono coordinarsi, e crearsi una gerarchia complessa ma nello stesso tempo articolata agilmente? Abbiamo accennato volta a volta alle varie fasi di questo processo di sviluppo. Come dalla forma tumultuaria odierna sia necessario passare a una organicità, determinando la trasformazione delle Commissioni interne in Comitati di Commissari di reparto (i reparti stessi, alla loro volta, dovranno specificarsi per lavorazioni in modo da fissare nuclei operai minimi che possano eleggere delegati scelti per conoscenza diretta e prossima dai compagni che lavorano gomito a gomito). Come sia necessario tendere a un Comitato unico in cui si realizzi l’unità della classe proletaria divisa oggi in tre grandi categorie spesso avverse per abito psicologico e per l’opera corruttrice del capitalista e dei suoi sicari del giornalismo. Come intorno a questi nuclei fortissimi e compatti di proletari d’officina sia necessario aggregare in istituzioni rionali e urbane i lavoratori di tutte le altre attività della vita moderna. Come sia necessario arrivare a sempre più vaste unità comprendenti i contadini, fino alla unità suprema, il Congresso nazionale dei delegati operai e contadini.
Questo apparato può nascere ed essere svelto e articolato agilmente solo se fortemente basato sulla realtà del lavoro, della produzione, solo se basato sulle necessità obbiettive della produzione industriale e agricola, solo se costruito con perseveranza e tenacia sulle esperienze vive e reali della classe lavoratrice.
Molte esperienze e molti tentativi deve ancora fare il proletariato italiano in questo senso; quelle finora attraversate sono ben povera cosa in confronto della dittatura proletaria che si vuole realizzare. Eppure da esse bisogna partire se si vuole arrivare a questa, se si vuole modificare obbiettivamente la realtà e foggiare le condizioni di successo e di permanenza della Rivoluzione comunista. Bisogna molto lavorare e molto lottare, nel campo stesso proletario, per vincere resistenze che diventeranno sempre più forti e implacabili a mano a mano che le istituzioni nuove si affermeranno e si svilupperanno. Bisogna evitare di creare confusioni e disillusioni nella massa, che deve continuare a lottare attraverso le federazioni nazionali di mestiere e deve sempre più rafforzarle in questo momento in cui la classe capitalista e lo Stato cercano di dissolverle con azioni simultanee e colpi di forza formidabili. Bisogna conciliare le esigenze del momento attuale con le esigenze dell’avvenire, il problema del «pane e del burro» col problema della Rivoluzione, convinti che nell’uno sta l’altro, che nel più sta il meno, che le istituzioni tradizionali si rafforzano negli istituti nuovi, nei quali però solamente è riposta la molla di sviluppo della lotta di classe che deve raggiungere la sua fase massima nella dittatura proletaria che deve sopprimerla, abolendo la proprietà privata ed eliminando dal campo industriale la persona del capitalista.
[ANTONIO GRAMSCI]