
L’Ordine Nuovo nasce il 1° maggio del 1919 con l’obiettivo di “rispondere a un bisogno profondamente sentito dai gruppi socialisti di una palestra di discussioni, studi e ricerche interno ai problemi della vita nazionale e internazionale” (cit, Ordine Nuovo anno I numero 1). Nel giro di pochi mesi questo “rassegna settimanale di cultura socialista” arriva a diffondere decine di migliaia di copie e viene identificato dagli stessi operai torinesi come il giornale dei consigli di fabbrica. A circa un anno di distanza, Gramsci scriverà:
“Chi eravamo? Che rappresentavamo? Di quale nuova parola eravamo i portatori? Ahimè! L’unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell’ardente vita. di quei mesi dopo l’armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana. Ahimè! L’unica parola nuova, che fosse stata pronunziata in quelle riunioni fu soffocata. Fu detto, da uno che era un tecnico: “Bisogna studiare l’organizzazione della fabbrica come strumento di produzione: dobbiamo consacrare tutta la nostra attenzione ai sistemi capitalistici di produzione e di organizzazione e dobbiamo lavorare per far convergere l’attenzione della classe operaia e del Partito su questo oggetto”. Fu detto, da un altro che si preoccupava dell’organizzazione degli uomini, della storia degli uomini, della psicologia della classe operaia: “Bisogna studiare ciò che avviene in mezzo alle masse operaie. Esiste in Italia, come istituzione della classe operaia, qualcosa che possa essere paragonato al Soviet, che partecipi della sua natura? qualcosa che ci autorizzi ad affermare: il Soviet è una forma universale, non è un istituto russo, solamente russo; il Soviet è la forma in cui, da per tutto ove esistono proletari in lotta per conquistare l’autonomia industriale, la classe operaia manifesta questa volontà di emanciparsi; il Soviet è la forma di autogoverno delle masse operaie; esiste un germe, una velleità, una timidezza di governo dei Soviet in Italia, a Torino?”. Quell’altro, che era stato impressionato da questa domanda rivoltagli a bruciapelo da un compagno polacco: “Perché non si è mai tenuto in Italia un congresso delle commissioni interne?”, rispondeva, in quelle riunioni, alle sue stesse domande: “Si, esiste in Italia, a Torino, un germe di governo operaio, un germe di Soviet; è la commissione interna; studiamo questa istituzione operaia, facciamo un’inchiesta, studiamo pure la fabbrica capitalista, ma non come organizzazione della produzione materiale, ché dovremmo avere una cultura specializzata che non abbiamo; studiamo la fabbrica capitalista come forma necessaria della classe operaia, come organismo politico, come “territorio nazionale” dell’autogoverno operaio”. (cit, Il programma dell’Ordine Nuovo, Ordine Nuovo anno II numeri 12-14).
Proprio lo studio delle commissioni interne e l’orientamento a questo organismo sono la ragione del successo dell’Ordine Nuovo. Per definire questo orientamento, lo stesso Gramsci dichiara di aver effettuato un “colpo di stato redazionale” che coincide con la pubblicazione dell’articolo “Democrazia operaia” nel giugno del 1919. In questo articolo inizia il lavoro degli ordinovisti verso le commissioni interne, che vengono identificate come “organi di democrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali occorre infondere vita nuova ed energia.” (cit. Democrazia Operaia, Ordine Nuovo Anno I numero 7).
La proposta dell’Ordine Nuovo è chiara: fare delle commissioni interne dei veri e propri consigli di fabbrica, in cui i lavoratori possano eleggere democraticamente i propri rappresentanti ed esercitare un ruolo di direzione in fabbrica e nella società. La lezione russa, sintetizzata da Lenin in Stato e Rivoluzione, è infatti appresa in pieno da Gramsci e i compagni dell’Ordine Nuovo: non si può semplicemente impadronirsi dell’apparato statale esistente, ma occorre sostitutirlo con una nuova struttura che permetta alla classe operaia di esercitare il proprio potere.
Le proposte dell’Ordine Nuovo vengono accolte e sviluppate dagli operai torinesi. Già nel settembre, alle Officine Fiat Centro e Brevetti si sviluppa il primo Consiglio di Fabbrica. A ottobre si tiene una riunione dei Comitati Esecutivi dei Consigli di fabbrica, in rappresentanza di circa 30.000 operai. A novembre si svolge una nuova riunione in rappresentanza di 50.000 operai: in questa assise viene approvato il “programma dei commissari di reparto”, in cui viene stilato il funzionamento e i compiti dei consigli di fabbrica. Le limitazioni degli imprenditori sono state eliminate a favore di una effettiva democrazia operaia. Sembra un processo inarrestabile: i consigli di fabbrica continuano a svilupparsi, si inizia a parlarne anche fuori da Torino e dal Piemonte. A marzo si giunge al congresso nazionale dei commissari di reparto, in vista del quale si fa appello alla partecipazione dei lavoratori di tutta Italia.
L’Ordine Nuovo si impegna a tempo pieno per seguire e sviluppare questo movimento. Per Gramsci e gli altri compagni la rivoluzione non è un qualcosa da attendere né può essere oggetto di propaganda astratta: è un processo che va sviluppato e organizzato, fianco a fianco con la classe. Cercare “forme di strutturazione pura del proletariato” è fuori contesto e infruttuoso perché i lavoratori non si pongono questo tipo di problemi. La classe si muove e si organizza attraverso ciò che ha a portata di mano, cambiandolo e plasmandolo a seconda delle proprie esigenze.