Qualcosa deve muoversi

 

Partiamo da qui: queste condizioni economiche e politiche devono presto o tardi accumulare scontento anche nel movimento dei lavoratori italiano ed agitare profondamente il movimento giovanile. Il governo è pieno di debiti. Qualsiasi manovra economica dovrà essere sviluppata sulle spalle di chi lavora. La strada per una nuova riforma delle pensioni è già stata aperta. Semplicemente la strategia del governo Meloni non è quella di una offensiva generale ma di colpire i diritti uno alla volta.

 

Ed infatti la guerra è stata dichiarata innanzitutto sul reddito di cittadinanza. E’ sufficiente guardare i dati oltre al velo della retorica contro i “fannulloni” per rendersi conto della battaglia di classe che l’estrema destra sta portando avanti. Nel 2022 le famiglie che hanno percepito almeno un assegno del reddito di cittadinanza sono state 1.7 milioni, ma solo 853 mila famiglie percepiranno il cosiddetto nuovo Reddito di inclusione. L’assegno di inclusione può essere percepito solo da famiglie con minori, anziani con più di 60 anni e disabili. E’ naturalmente molto più restrittivo del Reddito di cittadinanza. Il tetto di reddito per famiglie in affitto era di 9360 euro, oggi è sceso a 6 mila euro per poter percepire l’assegno. Circa 929 mila famiglie verranno escluse solo per questo.

 

Ovviamente se le famiglie hanno almeno un occupato verranno tagliate fuori. Già con 8500 euro di reddito medio una famiglia viene esclusa dalla percezione del Reddito di cittadinanza. L’80% di famiglie come queste perderà il reddito. Chi ha perso il reddito può richiedere il Supporto per il reddito e la formazione, una indennità di 350 euro che viene erogata solo fintanto che si fanno corsi di formazione e per non più di 12 mesi. Corsi che la piattaforma digitale offre in Campania e Sicilia, due tra le regioni con più percezione del vecchio Reddito, in numeri risibili: 150 posti per 350 mila beneficiari potenziali. E’ chiaro che la retorica della formazione e del merito è una guerra alla povertà: si chiede ai disoccupati di rimanere tali per abbassare salari e diritti degli occupati. Altro che propaganda sui disoccupati che preferiscono percepire il RDC piuttosto che lavorare, i veri esclusi saranno i lavoratori poveri e precari che percepivano il RDC per integrare salari vergognosi e contratti intermittenti, che li tengono occupati per periodi brevi. L’ultimo rapporto Anpal, di fine 2020, ha certificato che il 40% di chi si è recato in un centro per l’impiego non era disoccupato[1].

 

Basterebbe questa situazione a scatenare rivolte incendiarie. Eppure non ci sono state che frammentarie proteste. E d’altronde chi avrebbe dovuto guidarle, il M5S? Eppure la situazione in Europa è veramente incoraggiante. Il resto del continente è squassato dalla lotta di classe. Ed è una lotta di classe tradizionale, pura, che coinvolge il movimento dei lavoratori senza mediazioni. Francia e Inghilterra sono al centro di questo processo. Abbiamo assistito a scioperi intensi, partecipati, che hanno messo in difficoltà le direzioni sindacali della CGT e del TUC inglese. Non potevano tirarsi indietro. La posta in gioco era troppo alta nell’Europa della crisi e dell’inflazione: quando andare in pensione e la tenuta degli stipendi di fronte al caro vita.

 

Queste lotte al momento hanno perso o sono in stallo. I lavoratori non devono solo combattere contro i padroni: hanno anche la titubanza riformista delle loro direzioni sindacali con cui fare i conti. Inoltre non hanno una rappresentanza politica conseguente. In Francia Nupes raccoglie consensi elettorali ma non ha un programma di lotta: è al carro delle decisioni della CGT. La pressione della base è stata così forte che per la prima volta da decenni, forse dalla sua fondazione, la segreteria CGT è stata sconfessata dalla sua base[2] al congresso nazionale del marzo scorso. Anche in Inghilterra il Partito Laburista di Keith Starmer, dopo la caccia alle streghe contro la sinistra di Corbyn e le espulsioni di massa, è nella sua fase più moderata dai tempi di Tony Blair. 

 

L’aspetto determinante di questi scioperi è stata la partecipazione della base. Vero ceffone al volto di chi, storcendo il naso e scuotendo la testa, ha sostenuto la tesi della scomparsa della classe operaia, queste lotte hanno poi smentito un altro mito: che la crisi lasci inermi i lavoratori, troppo timorosi di scioperare di fronte alla paura della disoccupazione. Siamo marxisti e dobbiamo guardare le cose nella loro essenza: la crisi costringe le borghesie di tutti i paesi europei ad avanzare politiche di austerità. E’ semplicemente impensabile che a questa azione non corrisponda prima o poi la reazione uguale e contraria del movimento operaio.

 

Dunque oggi il “ritardo italiano” nella lotta di classe è ancora più evidente, se confrontato con quanto sta avvenendo negli altri paesi europei. La stessa Germania è stata colpita da forti scioperi nel settore dei trasporti tra marzo e aprile[3]. La locomotiva del capitalismo europeo è fortemente in recessione. Nessuna segreteria sindacale si sogna di ignorare questi segnali, anche per conservare il loro controllo. Nella mente del dirigente sindacale riformista lo sciopero è una dura necessità a cui consegnarsi solo se costretti. Spesso è una valvola di sfogo per continuare a mantenere il controllo della base. Ma in questa situazione sociale ogni sciopero implicitamente accresce la fiducia che i lavoratori hanno in loro stessi. Una strategia che la segreteria Landini comprende molto bene. Eppure queste condizioni sono presenti anche qui in Italia.

 

Non è secondario infatti che la CGIL abbia fatto partire una consultazione tra gli iscritti per decidere dello sciopero generale. Landini alla festa del Fatto Quotidiano ha aperto ancora allo sciopero generale contro il governo, che la direzione CGIL farebbe per spingere un tavolo di trattativa col governo[4]. Dobbiamo essere chiari e guardare questo processo nel complesso: su queste basi si imporrebbe quanto già accaduto all’ultimo sciopero generale della CGIL, cioè uno sciopero dimostrativo forte, positivo, capace di mostrare le potenzialità di lotta del movimento operaio italiano ma isolato, convocato su una piattaforma moderata e senza la prospettiva di un futuro di lotta. Eppure come spiegavano Marx ed Engels nel Manifesto del nostro movimento “i comunisti sono quella parte del movimento che sempre spinge avanti”. E quindi è implicito che tale sciopero darebbe un colpo all’autunno.

 

Se guardiamo la strategia dall’alto, colpisce però quanto lo sciopero serva a mobilitare la base per ricondurla poi sui binari sicuri dei referendum su salario minimo e jobs act. Attivarla con la manifestazione del 7 ottobre, innescarla con lo sciopero generale e poi spingere tutto sul canale referendario, strumento di lotta passivo per la classe. E’ una strategia condivisa dall’opposizione politica nel suo complesso, se è vero che anche Elly Schlein alla festa nazionale del PD ha chiamato alla mobilitazione di piazza, in parte per rincorrere il M5S e in parte proprio per governare le pressioni che si avvertono dalla base in vista delle prossime elezioni europee dell’estate 2024. Schlein parla della sanità pubblica come punto di partenza. Ma rimangono i punti generali di questa mobilitazione, che permetterà al PD di giocare a fare l’opposizione: generica e schiava della spesa pubblica, senza una strategia di sfida al governo. E non potrebbe essere diversamente per un partito borghese:

 

“E per dimostrare che cosa intenda cita Romano Prodi, Walter Veltroni, ‘i pensieri lunghi’ di Enrico Berlinguer e ricorda Aldo Moro. Come a dire che il PD tiene ancora vive tutte le culture politiche da cui è nato.”[5]

 

Ma qui arriviamo precisamente al punto. Nelle condizioni date, anche la più blanda delle mobilitazioni può innescare un effetto domino, perfino qui in Italia. L’odio nei confronti del caro vita, i bassi salari, la sanità pubblica smantellata, le spese folli per la vendita di armi all’Ucraina, le politiche di repressione giovanile con il decreto Caivano, le continue provocazioni culturali e di genere, finanche il negazionismo climatico più abietto costituiscono un terreno di coltura per la lotta di classe nel nostro paese, esattamente come sta avvenendo nel resto d’Europa. I desideri dei leader dell’opposizione sarebbero proprio quelli di non svegliare il can che dorme ma non può essere fatto altrimenti. E’ la stessa crisi del capitalismo a imporre ai riformisti all’opposizione di fingere di lottare rischiando di perdere il controllo delle mobilitazioni. 

 

 

E proprio in una crisi come questa grida vendetta al cielo qualsiasi tentativo di frammentare il movimento di opposizione sociale e sindacale. Un fronte unico tra Cgil e alcuni sindacati di base creerebbe una pressione ancora più forte alla segreteria Landini e mostrerebbe la forza dell’unità a una rete di sindacati di base che spesso converge tra loro ma senza incidere in modo qualitativo. Le rete di convergenza sociale di classe che stanno attraversando il paese, da GKN a Mondo Convenienza, dal No Tav al movimento climatico, oggi devono entrare a peso morto nel dibattito dell’opposizione politica per smascherare l’opposizione di carta di Schlein e Conte e contribuire a strappare il guinzaglio che la segreteria CGIL tende sul movimento operaio. E’ l’unico modo per sfuggire al rischio di una stagione di opposizione di massa ma testimoniale nell’inizio di un nuovo ciclo di lotte nazionali.

 

Nessuno ha la sfera di cristallo. Nessuno può rompere la cautela sulle potenzialità di questo autunno. Le prospettive politiche devono servire a tracciare le linee generali di quello che potrebbe avvenire, ma da marxisti siamo forti di un passaggio che dal 1849 illumina la nostra strada:

 

“I comunisti si distinguono dagli altri partiti proletari solo per il fatto che da una parte essi mettono in rilievo e fanno valere gli interessi comuni, indipendenti dalla nazionalità, dell’intero proletariato, nelle varie lotte nazionali dei proletari; e dall’altra per il fatto che sostengono costantemente l’interesse del movimento complessivo, attraverso i vari stadi di sviluppo percorsi dalla lotta fra proletariato e borghesia.”[6]

 

C’è un vuoto teorico da riempire nel movimento. Non sarà secondario se a riempirlo saranno le idee del marxismo o quelle del riformismo di sinistra. La lotta di classe non si combatterà solo nelle piazze.

 

[1] R. Rotunno – RDC: i veri dati – Il Fatto Quotidiano (13/09/2023)

[2] https://ilmanifesto.it/borne-invita-i-sindacati-cgt-in-crisi-e-ce-il-congresso

[3] https://www.rainews.it/archivio-rainews/media/sciopero-treni-germania-6-giorni-lavoratori-chiedono-aumenti-salario-e-una-ora-in-meno-di-lavoro-a-settimana-b502d50f-97bb-432b-a4aa-256731c52554.html#foto-1

[4] R. Antonucci – Landini:”Prepariamo quesiti anti-Jobs Act e sciopero sui precari” – Il Fatto (11/9/2023)

[5] M. T. Mieli – In autunno pronti alla piazza – Corriere della sera (11/9/2023)

[6] K. Marx, F. Engels – Manifesto del Partito Comunista, 1849